Presentati i risultati dell’Osservatorio Smart Working 2021 del Politecnico di Milano, che ha monitorato di trimestre in trimestre l’andamento del lavoro agile negli ultimi due anni. La maggior parte delle grandi aziende manterrà e consoliderà forme di lavoro agile (89%) e il 62% della Pa, mentre le piccole e medie imprese, già tiepide nell’adottarlo a inizio pandemia, faranno marcia indietro: una su tre lo abbandonerà, mentre lo manterrà solo il 34%.
Le grandi aziende non tornano indietro e manterranno forme di lavoro agile per l’89%, affinando e consolidando i modelli e le esperienze vissute durante la pandemia, con una media di tre giornate agili a settimana. Anche gli uffici saranno ripensati in termini più “social” per favorire l’incontro, la socialità e lo scambio tra persone, visto che la comunicazione tra colleghi è l’aspetto che è più mancato durante il lavoro forzato da casa.
Nel post pandemia si attesteranno a 4,38 milioni gli smart worker secondo le stime dell’Osservatorio del Polimi: l’89% delle grandi, il 62% della PA e solo il 34% delle pmi. Per oltre un terzo degli smart worker sono migliorati work-life balance e produttività, con note negative rilevate dalle pmi, mentre il 28% ha sofferto di tecno-stress e il 17% di overworking.
«C’è chi ha consolidato e portato a maturità modalità introdotte in modo emergenziale, ma fattori di stress e disagio hanno pesato sulla percezione comune, con perdita di engagement, socialità e fenomeni di tecno-stress, superficialmente ascritti allo smart working, anziché alla situazione pandemica e al lavoro forzato da casa», afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, in apertura del convegno “Rivoluzione Smart Working: un futuro da costruire adesso”.
I numeri dello smart working
Dopo l’impennata di marzo 2020 con 6,58 milioni di remote worker, partendo da quei 570mila smart worker stimati dal Polimi nell’ultimo anno pre-Covid (+1054%) , è poi seguito un complessivo ridimensionamento: 5,06 milioni nel terzo trimestre 2020 (-23%), quando ci si illuse che la pandemia stesse finendo, quindi una leggera ripresa a marzo 2021 con 5,37 milioni (+5%), ma scesi a 4,71 milioni a giugno (-12%) e ancora a settembre, fino a 4,07 milioni (-14%). A conclusione della pandemia, si prevedono 4,38 milioni di smart worker (+8%) con varie modalità ibride: tre giornate agili in media a settimana nelle grandi imprese (ora 4,1) e due nella Pa (ora 3,6).
E i lavoratori cosa vorrebbero? Gli smart worker del settore pubblico ne vorrebbero un po’ di più, 2,5 a settimana, quelli del privato sono soddisfatti a quota 3, mentre la maggioranza di quelli che non l’hanno sperimentato (80%) si accontenterebbe di 1,5 giornate settimanali da remoto.
In pratica, saranno 680mila lavoratori nel pubblico, toccata quota 1,85 milioni all’apice iniziale; poco più di 2,03 milioni nel privato (2,1 milioni all’inizio della pandemia, quindi i più stabili come numeri), 700mila nelle pmi (1,13 milioni nel marzo 2020) e 970mila nelle microimprese (1,5 milioni all’apice).
«Le grandi imprese stanno sperimentando nuovi modelli di lavoro, con la ricerca di nuovi equilibri fra presenza e distanza capaci di cogliere i benefici potenziali di entrambe le modalità di lavoro. In molte organizzazioni, soprattutto pmi e PA, invece, si sta tornando prevalentemente al lavoro in presenza a causa della mancanza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati. Un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese.
Ora è necessario costruire il futuro del lavoro sul vero smart working, che non è una misura emergenziale, ma uno strumento di modernizzazione che spinge a un ripensamento di processi e sistemi manageriali all’insegna della flessibilità e della meritocrazia, proponendo ai lavoratori una maggiore autonomia e responsabilizzazione sui risultati», prosegue Mariano Corso.
Comunicazione ed engagement
Per il 55% delle grandi imprese in questi 20 mesi di lavoro prevalentemente da casa la comunicazione con i colleghi ha avuto un peggioramento, non compensato da iniziative digitali, affermazione confermata dal 44% delle pmi e dal 48% del settore pubblico.
Anche l’engagement dei dipendenti ha subito una battuta d’arresto, passando complessivamente dal 18% degli smart worker “totalmente ingaggiati” nel periodo pre-pandemia all’attuale 7% e dall’8% al 6% per quanto riguarda i non smart worker. Il contesto pandemico ha evidentemente influito sul senso di coinvolgimento e appartenenza di tutti i lavoratori, a prescindere dalle modalità di lavoro, per il 30% delle grandi aziende, per il 27% delle pmi e per 19% della pubblica amministrazione che però, come unica eccezione, ha registrato il 23% di miglioramento, in controtendenza rispetto agli altri cluster, probabilmente perché l’introduzione dello smart working è stato particolarmente apprezzato, partendo da una scarsissima diffusione nel periodo pre covid.
Sono invece tutti d’accordo sugli effetti positivi di una maggiore flessibilità spazio-temporale sul work-life balance, in particolare per l’89% delle grandi aziende, per il 55% delle Pmi e per l’82% dei dipendenti del pubblico.
Smart working vuol dire anche efficacia, efficienza e fiducia
Lo smart working ha avuto anche un impatto positivo su efficacia ed efficienza del lavoro: rispettivamente per il 58% e il 59% nelle grandi imprese e per il 27 e il 30% della Pa. Controcorrente le pmi, nelle quali sarebbe prevalso un peggioramento nell’efficienza del lavoro (21% contro il 15% che registra un miglioramento) e anche nell’efficacia con un 16% di peggioramento rispetto al 15% di miglioramento.
Anche nelle pmi che non hanno lavorato da remoto, però, sarebbero diminuite efficienza ed efficacia negli ultimi 20 mesi. La causa principale di questa diversa percezione nelle pmi si potrebbe attribuire alla mancanza di cultura dei risultati e di misurazione della prestazione per obiettivi, quindi nel non aver riorganizzato le attività in base a questi e non in base alla sola presenza. Anche rispetto alla fiducia tra colleghi nelle pmi è prevalso un senso di peggioramento (19% contro 11% di miglioramento), come pure nella Pa (19% contro 14% di miglioramento), mentre nelle grandi c’è stato un 26% di miglioramento contro il 19% contrario.
Sicuramente saranno necessarie delle riflessioni e degli aggiustamenti e adattamenti per far sì che il lavoro “distribuito” e più digitale non interferisca troppo sugli aspetti relazionali, di fiducia e sul senso di appartenenza dei lavoratori. Quello che è certo è che nelle grandi imprese il dado ormai è tratto e si consoliderà un modo di lavorare più flessibile e autorganizzato, facendo tesoro dei vantaggi che sia i dipendenti sia le aziende hanno tratto dalla massiva sperimentazione di questi 20 mesi.
«Per cogliere tutti i benefici dello smart working serve l’impegno di tutti i soggetti. Alle organizzazioni spetta il compito di strutturare progetti coraggiosi, lavorando su policy, tecnologie, spazi di lavoro e stili di leadership; i lavoratori devono allenare skill più adeguate al nuovo work-life balance e i policy maker devono accompagnare questa trasformazione con onestà intellettuale e lungimiranza», sostiene Alessandra Gangai, direttrice della ricerca Smart Working nella PA.
Le pmi fanno marcia indietro sul lavoro agile
C’è una larga parte di piccole e medie imprese che o non hanno neanche adottato durante la pandemia il lavoro agile (il 47% contro il solo 19% delle grandi e il 33% della PA), ritenendolo inadatto alle proprie attività e funzioni, o per mancanza di processi digitalizzati e o per mancanza di interesse, oppure che ora fanno marcia indietro tra quelle che l’hanno adottato (il 53%).
Di fatto, una su tre le pmi abbandoneranno lo smart working e, in oltre una su due, non sarà presente in alcuna forma. Sarà presente con progetti informali nel 22% dei casi e con progetti strutturati nel 13% dei casi, estendendo però la platea dei lavoratori coinvolti. Nelle grandi imprese invece, a conclusione dell’emergenza, l’81% manterrà o introdurrà progetti formalizzati, estesi e strutturati (più un 8% informale), così pure per una su due nella Pa, ma in questo caso una su quattro ha l’incertezza di cosa succederà a livello normativo per lo smart working nel pubblico, se continuerà o meno.
Smart Working Award 2021
I vincitori dello Smart Working Award 2021 sono: per la Pa Banca D’Italia e Inail, per le pmi Net insurance e Webranking e per le grandi imprese ING Italia e Cameo (di Cameo abbiamo raccolto testimonianza sul futuro della formazione ibrida nel numero di novembre 2021 di Industrie 4.0).