Nel 2023 lo Smart Working di stabilizza sugli oltre 3 milioni e mezzo di lavoratori. Cresce leggermente (+0,4%), con 150mila lavoratori in più coinvolti.
Ormai uno su due i lavoratori delle grandi imprese, che hanno già programmi strutturati per il 96%, utilizzano la modalità di lavoro agile (1,88 milioni). Sono in via di saturazione per numero di aziende, ma lo estendono in modo più capillare, per il 20% anche a tecnici e operativi. Gli Smart Worker aumentano leggermente anche nelle pmi, soprattutto medie, con 570mila lavoratori, il 10% della platea potenziale. Sono invece calati nelle microimprese (620mila lavoratori, il 9% del totale) e nelle PA (515mila addetti, il 16%).
In pratica, dopo l’impennata emergenziale dei 6 milioni e mezzo del 2020 e due anni di massicci rientri in ufficio, oggi gli Smart Worker si attestano sui 3.585.000 contro i 3.570.000 del 2022 (+0,4%). Sono sempre il 541% in più rispetto al periodo pre-Covid.
Per il 2024 è prevista una crescita ulteriore, con un totale di 3,65 milioni di Smart Worker. Tutte le grandi imprese prevedono di mantenerlo anche in futuro, con solo il 6% che si dichiara incerto. Nelle PA c’è invece maggior incertezza: il 20% non sa come evolverà il modello, una titubanza che si avverte soprattutto nelle organizzazioni di minore dimensione. Seguono le pmi, con il 19% che non sa gli sviluppi futuri o neppure se sarà previsto ancora lo Smart Working.
Ma è vero Smart Working quello diffuso oggi?
Se indietro non si torna, è davvero lavoro agile quello più diffuso oggi? C’è davvero flessibilità di orario e luogo di lavoro e autonomia sugli obiettivi? Non sembra, perché spesso prevale come lavoro da remoto, vissuto come “male necessario” concesso come benefit e non come modello organizzativo “win-win” tra le parti. Le aziende potrebbero infatti risparmiare, inquinare meno e avere una maggiore produttività grazie a collaboratori più soddisfatti, motivati e ingaggiati.
«Nel 2023 lo Smart Working in Italia torna a crescere, restano però numerose barriere a una sua applicazione matura. Troppo spesso è considerato semplice lavoro da remoto o strumento di welfare e tutela dei lavoratori. È quindi necessario ‘rimettere a fuoco’ lo Smart Working, identificandolo per quello che è realmente: non un compromesso o un male necessario, nemmeno un diritto acquisito o un fine in sé, ma uno strumento di innovazione per ridisegnare la relazione tra lavoratori e organizzazione», commenta Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano.
Le quattro leve dello Smart Working e i livelli di maturità
Le applicazioni mature di Smart Working agiscono su tutte e quattro le leve che lo definiscono: policy organizzative, tecnologie, spazi fisici e comportamenti e stili di leadership.
È la grande azienda a guidarne l’evoluzione. Ha modelli maturi oltre una su due (52%), mentre solo il 15% della pmi e il 16% della PA. Il grado di maturità riflette anche la presenza o meno di progetti strutturati. L’89% delle grandi imprese ormai utilizza questa modalità di lavoro in modo strutturato, presente invece solo nel 10% delle pmi. Pmi che nel 46% dei casi lo gestiscono in modo ancora informale. A sua volta, ha progetti strutturati quasi un’azienda su due della PA (49%).
Sulle quattro leve dello Smart Working, le policy organizzative riguardano autonomia e flessibilità nella scelta di luogo e orario, nel quadro di regole definite, ormai presenti nelle grandi imprese. Nelle Pmi, invece, prevalgono policy informali per il lavoro da remoto, che non riguardano la flessibilità oraria o l’autonomia nella gestione delle attività.
Quanto alle tecnologie, come le piattaforme collaborative che favoriscono lo Smart Working, le organizzazioni si trovano a un buon livello, grazie a una generalizzata diffusione di strumenti e competenze durante la pandemia.
Rispetto alla riorganizzazione degli spazi, invece, il livello di maturità è ancora limitato. Solo il 38% delle grandi imprese e il 13% delle PA hanno ripensato gli uffici in modo funzionale alle attività da svolgere (“Activity-based Working”). Tuttavia, il 35% delle grandi imprese e il 18% delle PA hanno progetti in cantiere.
Infine, sui comportamenti e gli stili di leadership il 59% delle grandi aziende e il 20% delle PA hanno attivato iniziative di formazione per capi e collaboratori sulla gestione dei team da remoto.
Migliorano le prestazioni dello Smart Working con Manager Smart
Le iniziative mature di Smart Working ottengono risultati migliori per attrazione dei talenti, inclusività, engagement delle persone e work-life balance. In generale, infatti, non basta adottare lo strumento di agilità “spazio-temporale” per farlo funzionare. Serve anche uno stile di leadership che accompagni il cambiamento organizzativo in modo sostenibile. I manager “Smart” assegnano obiettivi chiari, forniscono feedback frequenti e costruttivi, favoriscono la crescita professionale e trasmettono gli indirizzi strategici.
Il risultato è quello di ottenere nei team livelli di benessere e prestazioni migliori rispetto a quelli con capi che non hanno queste caratteristiche. Come emerge dall’analisi svolta da Doxa su un campione di 800 lavoratori, gli Smart Worker a tutto tondo hanno livelli di engagement e di benessere più alti rispetto agli altri. Si percepiscono più efficienti e capaci di migliorare e innovare attività e processi. Una leadership smart dovrebbe riuscire a contenere anche i rischi di overworking o tecnostress, di cui soffrono 3 su 10 e che sono più alti proprio negli Smart Worker.
D’altronde, i semplici remote worker, senza una guida smart sono meno stressati dall’eccesso di lavoro o di tecnologie. Ma registrano i livelli più bassi in assoluto anche rispetto a chi va tutti i giorni in ufficio sia come engagement, sia come benessere relazionale, psicologico e fisico.
«Un ruolo fondamentale nello Smart Working è giocato dai manager, che devono destreggiarsi tra esigenze potenzialmente contrastanti: assicurare benessere e flessibilità alle persone, tenere alta la motivazione e garantire i risultati aziendali. Occorre fare formazione e coaching per migliorare le competenze manageriali, rendendo i responsabili capaci di assegnare in modo chiaro gli obiettivi, di supportare le persone nel perseguire quelli più sfidanti, fornire feedback frequenti e costruttivi, favorire la crescita professionale. Uno stile di leadership “smart” permette infatti di migliorare engagement, benessere e prestazioni delle persone», rinforza Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working.
Nuove forme di flessibilità: il caso Lavazza
Si sperimentano progetti pilota su nuove forme di flessibilità sul lavoro. C'è per esempio la settimana corta, estendibile anche a profili che fino ad oggi non hanno usufruito del lavoro da remoto. Oppure le ferie illimitate e l'eliminazione della timbratura. C’è poi chi sperimenta anche il “Temporary distant working”, che prevede di lavorare da remoto per alcune settimane o anche per più mesi, di seguito, in alcuni casi anche dall’estero.
Durante l’Osservatorio Smart Working è stato presentato il caso Lavazza. L'azienda ha introdotto il lavoro agile nel 2018 nel Centro direzionale. Lo ha poi esteso a tutta la popolazione idonea durante l’emergenza Covid. Oggi lo si prevede anche per gli impiegati dei siti produttivi per 1 o 2 giorni alla settimana ed è stato proposto alle consociate estere.
L’headquarter Nuvola di Torino è concepito secondo le logiche più moderne di desk sharing e prenotazione di riunioni e scrivanie. Qui, le giornate massime consentite di Smart Working sono 10 al mese, anche di seguito, preferibilmente per un massimo di 5 giorni consecutivi. Si può lavorare da qualsiasi luogo idoneo, con un approccio di responsabilizzazione sugli obiettivi e sulle esigenze del team.
Inoltre, quest’anno c'è la novità di 15 venerdì brevi tra maggio e settembre. Questa prevede una riduzione di 3 ore giornaliere, utilizzando parte dei riposi individuali previsti dal Contratto Collettivo Alimentare. Questo è un esempio win-win. Per l’azienda l’uso di questi permessi costituisce un risparmio sul loro mancato utilizzo, risparmio che viene reinvestito in iniziative welfare.
«La nostra flessibilità non è solo oraria, ma anche economica, non solo cash ma anche in forma di nuovi servizi. La soddisfazione si registra nelle survey qualitative, ma anche nei kpi di fatturato e nel premio per obiettivi, in continuo miglioramento di anno in anno», racconta Gianmarco Fissore, Labour Law & Industrial Relations Manager di Lavazza.
Il premio può essere convertito in parte o del tutto in servizi welfare e la quota viene maggiorata del 10%. Sono stati anche potenziati i permessi annuali per i caregiver (16 ore). Sono previste anche 4 ore per le visite veterinarie. E sono state aggiunte 5 giornate di paternità obbligatore alle 10 previste dalla normativa, oltre al bonus convivenza, accanto al bonus matrimonio.
Gli Smart Working Award 2023
Le aziende premiate quest’anno sono state Grenke tra le grandi imprese, ShopFully per le pmi, Arera nella categoria PA e l’iniziativa SmartBo nella nuova categoria “valorizzazione dei territori”.
Grenke, società di servizi di locazione operativa per pmi, dopo una fase pilota nel 2019 e l’esperienza full remote con il Covid, nel 2021 ha messo a punto il progetto “Grenke Next”. Questo si basa su tre pilastri: spazi concepiti sulle attività da svolgere (Activity-based Working) e secondo principi di psicologia ambientale; tecnologie collaborative a supporto del lavoro agile e una nuova cultura della leadership. Per Grenke è infatti cruciale conciliare efficienza e centralità delle persone, attraverso le leve della soddisfazione, della comunicazione e dell’ascolto, del coinvolgimento e dell’empowerment. Nel 2022 è stato registrato un 7% in più di benessere da parte dei dipendenti.
Anche Shopfully, società tech che connette i consumatori ai negozi più vicini, sta raccogliendo i frutti del proprio modello ibrido di Smart working. Parliamo di +11% di engagement, -6% di turnover, -30% di costi di gestione degli spazi. L’obiettivo strategico è di creare il contesto migliore per abilitare le capacità dei collaboratori, secondo la cultura aziendale di ownership (responsabilizzazione), collaborazione e flessibilità. Grazie alle tecnologie digitali, per esempio, è possibile standardizzare molte operazioni per recuperare tempo di valore e anticipare i contenuti delle riunioni per limitarle a scambi davvero proficui.
Anche Arera, società pubblica regolatoria per energia reti e ambiente, con 257 dipendenti, registra persone pienamente ingaggiate per il 17%, sopra la media nazionale dell’11% e del 5% nella PA. Ha un modello consolidato da 9 anni, che prevede una flessibilità per tutti anche su base giornaliera (mezza giornata in presenza e mezza da remoto). Oggi sta investendo soprattutto sulla formazione di tutto il personale, sia tecnologica sia di pianificazione e gestione del lavoro e delle risorse anche da remoto.
Infine il progetto SmartBo, nella nuova categoria “Valorizzazione dei territori”, è stato voluto dal Comune di Bologna già in fase pre Covid e oggi è una rete di una quarantina di attori tra aziende e società del terzo settore. L’obiettivo è quello di rendere più sostenibile e inclusivo il territorio secondo i principi ESG, anche grazie ai nuovi modelli e luoghi condivisi del lavoro. È un esempio di collaborazione pubblico-privato, con l’ambizione di diventare una rete di reti, un modello per altri, da replicare e sperimentare in altre città.