La servitizzazione non è un concetto nuovo. Ciò che è nuovo è che le attuali tecnologie abilitanti il paradigma 4.0 sono in grado di portare un’ulteriore innovazione e una significativa accelerazione ai business model legati alla servitizzazione. È proprio la diffusione delle tecnologie digitali a fare, oggi, la differenza. Esse permettono di connettere i prodotti (asset) e di utilizzare i dati da essi provenienti, in modo da abilitare l’erogazione di nuovi servizi a coloro che utilizzano tali asset.
In sostanza, la “servitizzazione” è un processo di natura data-driven. In base a questo processo, un’impresa transita da una logica di business legata all’esclusiva vendita di beni/prodotti a una legata alla vendita di servizi erogabili a partire da questi beni. Tale processo genera una nuova value proposition, che prevede spesso l’offerta di pacchetti costituiti da un prodotto (asset) e da uno o più servizi a corredo.
Stiamo parlando di servizi a valore aggiunto che vanno dalle semplici notifiche di guasti via e-mail o app a quelli basati su condizione di un macchinario (manutenzione preventiva e predittiva), fino all’offerta di utilizzo “a ore” di macchinari (pay-per-use) e a raggiungimento di un risultato individuato contrattualmente (outcome-based, pay-per-performance).
In un approccio di questo tipo è determinante la capacità di fornire un servizio a valore. Ma lo è anche la capacità di poterne controllare l’erogazione nel tempo. E questo non solo ai fini della fatturazione ma, soprattutto, ai fini della sua qualità. Un’impresa deve dunque essere in grado di monitorare, gestire e fatturare il servizio erogato nel tempo.
Le tecnologie abilitanti la servitizzazione
Al centro dei nuovi modelli di business legati alla servitizzazione in ottica 4.0 ci sono dunque i dati, che vengono acquisiti da risorse connesse alla rete e poi elaborati con l’impiego di algoritmi.
Fondamentali, in questo processo, sono in particolare tre tecnologie. In primis, c’è l’Industrial IoT, con annessi sensori, reti e interoperabilità hardware e software.
Segue poi il Cloud Computing, le cui architetture permettono di sfruttare “on demand” risorse remote per l’archiviazione, l’elaborazione e l’accesso ai dati.
Ci sono infine, strumenti di Big Data Analytics e algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning, che permettono di analizzare la mole di dati raccolti, utili alla gestione di un servizio.
I vantaggi della servitizzazione per chi eroga e per chi acquista il servizio
Punto centrale di una strategia di servitization è l’OEE (Overall Equipment Effectiveness) e, quindi, il monitoraggio costante e in tempo reale dello stato di operatività e delle prestazioni di un asset. Una strategia di questo tipo porta vantaggi tangibili per entrambi gli attori coinvolti, chi eroga e chi acquista il servizio.
Per chi eroga il servizio sono tre i vantaggi principali. Abbiamo la fidelizzazione del cliente, segue l’incremento della conoscenza, derivante dall’analisi dei dati raccolti dagli asset e dai trend di produzione del proprio cliente. In terzo luogo, la predicibilità del business, dovuta alla possibilità di contare su un flusso di cassa ricorrente e prestabilito di un servizio e non sulla variabilità del volume di vendita di un bene/prodotto.
Anche per chi acquista un servizio invece di, o insieme a, un bene/prodotto ci sono altri vantaggi. Si inizio con lo spostamento di capitali immobilizzati da un investimento alla libertà di utilizzo di questi, modulati sulle necessità produttive. C’è poi la continuità produttiva fornita dal servizio basato su moderne tecnologie IIoT. In questo caso, l’end-user è al riparo, ad esempio, dal rischio di fermo produttivo dovuto a guasti inattesi. Segue, infine, l’adattabilità di un servizio rispetto alle mutevoli esigenze del business.
Concludendo, un business model in ottica di servitizzazione è dunque necessariamente di tipo data-driven. Interessa tutta gli attori di una filiera. Presuppone un cambiamento profondo, non solo tecnologico, ma anche e soprattutto culturale, a partire dalla formazione di operatori e forza vendita. Questo modello modifica, infine, anche il rapporto con il cliente finale. Che non è più un rapporto di tipo transattivo, come nel caso della vendita di un prodotto, ma diventa di tipo continuativo.