Mouse, cuffie e tastiere giunti a fine vita. Come utilizzarli ancora, inserendoli in un processo di rigenerazione e di economia circolare? Come reinventarli, dando forma a nuovi dispositivi, anche per un uso differente da quello iniziale? Questa la sfida lanciata da Logitech, l’azienda svizzera di elettronica di consumo, agli studenti del corso di Ingegneria gestionale “Innovazione e design industriale” in italiano e “Industrial design” in inglese alla Università LIUC - Carlo Cattaneo di Castellanza (VA).
La gara tra i team di lavoro, con la supervisione dei docenti del corso, è partita a fine febbraio e si concluderà a luglio, con la presentazione delle diverse proposte a una commissione tecnica composta da manager aziendali e docenti LIUC.
«Le proposte sono sempre così brillanti che, in genere, le aziende attingono a più di una, al di là di quella vincitrice sancita dalla commissione. È un format che funziona per la contaminazione tra studenti prossimi alla laurea magistrale e un’impresa con una forte propensione all’innovazione».
«Con i primi, gli studenti, ancora liberi dai modus operandi aziendali che a volte frenano la progettualità, ma pronti a interagire con il mondo del lavoro; la seconda, Logitech, che ha compreso il valore dell’Open Innovation, ossia di cercare fuori dal proprio perimetro la scintilla creativa», spiega Emanuele Pizzurno, responsabile del corso, docente della Scuola di Ingegneria industriale di LIUC.
Un modello win-win
Nel 2020 il corso di Innovazione e Design industriale di LIUC ha vinto il premio per l’eccellenza e la didattica innovativa dell’Associazione italiana Ingegneria Gestionale, con la sfida su un progetto di rinnovamento del condizionatore portatile De Longhi, il pinguino, in ottica di risparmio energetico e di apertura del nuovo mercato del Nord Europa.
In un’altra occasione, la sfida è stata sui dispositivi medici di Ab Medica e un’altra volta l’obiettivo, per Rold, era quello di intercettare le microplastiche generate dagli indumenti sintetici durante i cicli di lavaggio delle lavatrici.
«Per gli studenti è una preziosa occasione per mettere in pratica quanto appreso sui libri, con un progetto reale e non simulato, attraverso una sfida tra compagni nell’ultimo semestre accademico e per iniziare a relazionarsi con il mondo reale, produttivo e di mercato. Negli anni gli studenti mi raccontano che quell'esperienza ha fatto la differenza sul loro curriculum, come prima occasione di incontro e scambio con futuri possibili colleghi. In sostanza, è una esperienza che dà sicurezza ai ragazzi e rassicura le aziende», racconta il titolare del corso.
I team sono supportati da quattro docenti che coprono aree di competenze utili allo scopo: Emanuele Pizzurno per il business planning; Ilaria Tagliavini per gli aspetti di marketing e sviluppo del concept; Domenico Sorrenti, ingegnere nucleare, per gli aspetti più tecnici e ingegneristici e Marco Raimondi, ingegnere gestionale, per il processo produttivo e la filiera.
I vantaggi dell'Open Innovation per le aziende
«A loro volta, gli Uffici Ricerca e Sviluppo delle imprese si aprono a risorse esterne, che sono fuori dai soliti schemi e modi di procedere così da far accadere il nuovo, l’impensato, qualcosa che prima non esisteva, ma con il rigore di un percorso accademico. Si va infatti dall’ideazione tecnica alla implementazione con un business plan realizzabile e sostenibile, si realizza cioè un'innovazione ingegnerizzabile», precisa Pizzurno. In particolare, del prodotto finale gli studenti riescono a presentare fisicamente dei prototipi statici in plastica, realizzati in stampa 3D presso il laboratorio dell’ateneo.
Ma il gioco funziona se l’azienda è lasciata fuori il più possibile dal processo creativo. «All’inizio l’azienda presenta agli studenti le caratteristiche tecniche del prodotto e gli obiettivi di innovazione. Sono poi previsti incontri intermedi sempre di chiarimento tecnico, ma senza interferire con i lavori di team per non influenzare il processo generativo di nuovi prodotti e soluzioni», aggiunge Pizzurno.
L’università partecipa al progetto a titolo gratuito e raccomanda alle aziende partecipanti di prevedere una forma di riconoscimento ai futuri ingegneri, se le loro idee verranno utilizzate. «La formula più diffusa è la stesura della tesi, quindi talvolta l’assunzione e, qualche occasione, negli anni, la brevettazione», precisa il docente.
Con questa iniziativa, infatti, più o meno consapevolmente, le aziende compiono anche una operazione di employer branding: è un modo per farsi conoscere come azienda innovativa e per individuare talenti da portare all’interno, vista la scarsità di ingegneri sul mercato. «Notiamo che in alcune imprese, non tutte, il progetto non è gestito solo dall’Ufficio Ricerca e Sviluppo, ma coinvolge anche la divisione HR che può avere interesse a intercettare nuove figure professionali», conclude Pizzurno.