L’Europa è la prima a livello mondiale a regolare l’uso dell’intelligenza artificiale in base al livello di rischio e a prevedere una serie di sanzioni. Queste scattano se si negano diritti fondamentali quali la dignità, la non discriminazione, la privacy, la protezione dei dati, la libertà di espressione e di informazione, un processo equo e la presunzione di innocenza.
«Ci abbiamo messo un po’, ma l’EU AI Act è una buona legge, che tiene conto anche dell’ultima generazione di stampo statistico, l’AI generativa. Quando mi dicono che adesso dobbiamo rendere etica l’intelligenza artificiale, rispondo che l’abbiamo già fatto, noi europei l’abbiamo fatto per primi.
Piuttosto, ora si tratta di interpretare in modo più o meno restrittivo un quadro normativo basato su principi generali. E l’interpretazione dipenderà dai singoli governi nazionali che si giocheranno, in base alla linea seguita, l’attrazione o meno di capitali stranieri. L’alternativa potrebbe essere quella di fare investimenti più sostanziosi e strategici in Europa, cosa che non sta avvenendo. Ormai Stati Uniti e Cina ci hanno staccato», commenta Luciano Floridi, professore e direttore del Digital Ethics Center dell’Università di Yale e Professore di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all’Università di Bologna.
Quanto stiamo investendo nell'intelligenza artificiale?
Secondo dati OECD, gli Stati Uniti stanno investendo oltre 400.000 milioni di dollari in venture capital sull’AI, la Cina 240.000 e l’Europa 50.000 milioni. L’Italia investirà solo un miliardo di euro quest’anno. Con questi numeri Italia ed Europa sono fuori dai giochi, con ricadute sui mercati e sulla competitività globale.
«Europa e America hanno viaggiato abbastanza allineate fino al 2020, ma poi gli Stati Uniti ci hanno superato. Lo Stato deve favorire gli investimenti da parte dei privati. Non spendere direttamente e, al contempo, essere inospitali verso le aziende estere che investono in Italia è controproducente», aggiunge Floridi, che invita alla flessibilità sui temi dell’intelligenza artificiale e sui suoi possibili impatti.
Puntare su professionalità Stem e digitali
Il filosofo invita alla flessibilità e alla de-burocratizzazione anche dei settori industriali per invertire il fenomeno della fuga dei cervelli, che prosegue dall’Europa agli Stati Uniti. Questo contribuisce al disallineamento tra domanda e offerta di profili professionali, poiché la domanda di competenze resta e anzi aumenta.
L’AI infatti trasformerà in modo disruptive il mercato del lavoro, ma non lo distruggerà. Anzi, creerà posti di lavoro semplicemente diversi.
L'intelligenza artificiale è a "intelligenza zero"
Floridi fa leva sulla caratteristica dell’AI di fare sì cose incredibili, ma a intelligenza zero. «L’intelligenza artificiale fa cose al posto nostro e anche meglio di noi, ma non usa l’intelligenza. Questo riporta al problema della responsabilità, che resta in capo all’essere umano.
Il mondo del lavoro non è una torta finita, certo la tecnologia sposta la fattibilità economica del lavoro, ma crea nuove opportunità, funzioni e professioni. Neanche in Europa c’è disoccupazione nelle professioni legate all’innovazione e al digitale. Serve quindi un’operazione sociale che accompagni tutti i lavoratori e che porti a bordo, con upskilling e reskilling, chi può accrescere le proprie competenze o acquisirne di nuove. Per gli altri, serve un welfare più robusto che assicuri la giustizia sociale», spiega Floridi, che snocciola anche numeri a supporto della sua tesi.
Dal 2021 e 2024, per esempio, negli Stati uniti la disoccupazione è scesa dal 6 al 3,9% secondo lo US Bureau Labor Statistics. Questa è tra l’altro assente nelle nuove professioni digitali.
In Giappone e Corea del Sud, dove automazione e robotica sono molto spinte nell’industria, la disoccupazione è rispettivamente al 2,7% e al 2,9%, che sono percentuali fisiologiche.
«Bisogna puntare su nuove competenze, lauree Stem e welfare sociale», conclude Floridi.
Tuttavia, da una ricerca della World Employment Confederation e da una di Manpower risulta che il 78% dei datori di lavoro teme di non riuscire a stare al passo con gli sviluppi tecnologici nei prossimi tre anni. La rapidità con cui le innovazioni entrano nel mondo del lavoro rende, infatti, sempre più complesso pianificare il fabbisogno futuro di talenti (80%). E così pure formarli adeguatamente e per tempo. Da qui la necessità, espressa da quasi la totalità dei manager (92%), di una nuova organizzazione del lavoro che, attraverso l’introduzione di strategie flessibili, permetta alle aziende una maggiore adattabilità e una capacità migliore di risposta ai cambiamenti.
Il manifesto in 5 azioni per un’intelligenza artificiale antropocentrica
In occasione dell’Annual Conference “Exchange – Disegniamo insieme il futuro del lavoro”, ManpowerGroup Italia lancia il primo “Manifesto sugli impatti dell’AI nell’impresa del futuro”. Definisce infatti cinque ambiti differenti, in cui l’adozione dell’AI potrà avere più significative ripercussioni sul capitale umano e sull’organizzazione aziendale. Sono etica e responsabilità, qualità della vita, cultura e leadership, formazione e competenze, governance e processi.
Ognuno di questi ambiti identifica un impegno specifico da parte delle aziende che vi aderiranno, per un totale di 5 azioni per favorire una gestione e uno sviluppo virtuoso, etico e consapevole del mondo del lavoro.
1. Etica e Responsabilità. L’impresa del futuro dovrà essere etica e responsabile
In ogni decisione aziendale agiamo con integrità e responsabilità, considerando l'impatto delle nostre scelte su persone, società e ambiente.
2. Qualità della vita. L’impresa del futuro vedrà il benessere come priorità
Lavoriamo per creare un ambiente di lavoro che valorizzi la qualità della vita, promuovendo il benessere fisico e mentale delle persone con politiche inclusive e sostenibili.
3. Cultura e leadership. L’impresa del futuro punterà sulla leadership che ispira e unisce
Coltiviamo una leadership empatica e inclusiva, dove il dialogo aperto e la collaborazione siano alla base di ogni successo e dove la cultura aziendale diventi una bussola che orienta le scelte.
4. Formazione e competenze. L’impresa del futuro promuoverà una formazione continua
Investiamo nel costante sviluppo delle competenze delle nostre persone, fornendo opportunità di apprendimento e crescita per affrontare le sfide della complessità e disegnare nuove pagine di futuro.
5. Governance e processi. L’impresa del futuro vedrà nell'adattabilità il successo
Adottiamo una governance flessibile e dinamica, pronta a rispondere ai cambiamenti del mercato e alle innovazioni tecnologiche con agilità e resilienza.
«Il manifesto, proponendo impegni concreti e utili a guidare le aziende in questo nuovo territorio, vuole stimolare una riflessione sulla centralità del capitale umano. Siamo infatti convinti che il capitale tecnologico sia legato a doppio filo con il capitale umano. Solo grazie a questa combinazione di elementi, il futuro del lavoro possa davvero essere sostenibile e a misura di persona», conclude Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia.
A orientare la stesura del Manifesto hanno contribuito Paola Pisano, docente di gestione dell’Innovazione all’Università di Torino, Cosimo Accoto, filosofo tech, research affiliate e fellow del MIT Boston, Tomas Chamorro-Premuzic, Chief Innovation Officer di ManpowerGroup Global e Leandro Pecchia, docente di bioingegneria elettronica e informatica all’Università Campus Bio-Medico Roma.