Modelli flessibili, basati sulla comunicazione libera e non sul comando e il controllo delle persone: queste sono le cosiddette organizzazioni “agili”, che si sono dimostrate più pronte rispetto alle imprese tradizionali a rispondere ai cambiamenti imposti dell’emergenza Covid-19.
È questo il dato di sintesi emerso dalla ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, basata su un’analisi empirica che ha coinvolto 198 medio-grandi aziende italiane e un panel rappresentativo di lavoratori, realizzato in collaborazione con Doxa.
Come hanno agito le imprese italiane
L’emergenza Covid-19 ha investito tutte le imprese, cambiando le modalità di lavoro, di collaborazione e di integrazione tra fisico e digitale. Il 95% delle Direzioni HR delle imprese italiane ha risposto sviluppando piani di comunicazione sull’emergenza ai lavoratori e ampliando le policy per il lavoro da remoto, nel 93% dei casi, ma anche pianificando nuovi turni per ridurre le occasioni di contatto e venire incontro alle esigenze delle persone (55%), facendo formazione sugli strumenti digitali per lavorare da casa (48%) e sulle soft skill digitali (46%) e anche aggiungendo servizi ai pacchetti di welfare nel 42% dei casi.
La pandemia globale ha anche stravolto le priorità del 2020 per le Direzioni del personale: ora ai primi tre posti ci sono l’introduzione o il potenziamento dello smart working (65%), lo sviluppo di cultura e competenze digitali (45%) e la gestione di riorganizzazioni aziendali o il dimensionamento della forza lavoro (43%).
In questa condizione, le organizzazioni “agili” hanno reagito più prontamente al cambiamento: su una scala da 1 a 10 il loro valore è di 7,7 rispetto alla media delle aziende di 6,8. Risultano più preparate nella trasformazione digitale dei processi HR e sono capaci di creare ambienti di lavoro più coinvolgenti e partecipativi, valorizzando le persone e i talenti. Tant’è che, mediamente, nelle organizzazioni agili il livello di engagement dei lavoratori è superiore del 25% a quello delle aziende tradizionali, la learning agility del 24%, le performance di lavoro del 26%.
Investimenti su formazione e innovazione
Nelle organizzazioni agili sono in forte aumento rispetto allo scorso anno programmi di upskilling per arricchire le competenze digitali e di digital reskilling per formare i lavoratori alle nuove competenze digitali, diffuse nel 69% rispetto al 43% delle altre. Inoltre, queste imprese si sono concentrate sulla progettazione di programmi di formazione specifici per sviluppare competenze digitali “hard” (53%) e su iniziative per diffondere cultura e conoscenza riguardo il digitale, coinvolgendo le persone in percorsi di innovazione (53%).
Sempre nelle imprese agili, il livello medio di engagement aumenta del 25% rispetto ai contesti tradizionali e, tra coloro che lavorano in queste realtà, i lavoratori “profondamente coinvolti” nelle attività lavorative sono il 74%, un valore molto alto rispetto al 32% dei contesti tradizionali.
Un altro dato interessante è che un lavoratore su quattro tra tutte le imprese dichiara che il suo lavoro sarà molto diverso nei prossimi due anni e dovrà aggiornare il proprio profilo di competenze attuali.
E ancora, la learning agility delle persone, cioè la propensione e la capacità di ampliare il bacino di conoscenze per adattarsi ai cambiamenti aumenta del 24% nelle imprese rispetto ai contesti tradizionali.
Infine, i modelli agili riescono a incrementare mediamente del 26% le performance dei lavoratori su tutte le dimensioni del work performance, ma soprattutto nella capacità di introdurre miglioramenti in maniera proattiva a vantaggio dell’organizzazione.
Questi dati portano a considerare che ci troviamo sicuramente di fronte a una trasformazione profonda del mondo del lavoro, che investe cultura, competenze, processi, organizzazione e relazioni. Una trasformazione che si baserà su un nuovo modello di leadership non gerarchica, ma flessibile e partecipativa, in grado di ingaggiare e coinvolgere le persone.
La formazione del futuro? e-learning e tailor-made
InfoJobs, tra le principali piattaforme in Italia per la ricerca di lavoro on-line, ha realizzato a maggio 2020 un’indagine su un campione di 109 aziende e 1.062 candidati, per capire come sia stata affrontata e gestita la formazione durante Covid-19 e prospettare scenari futuri sul tema.
Solo poco più della metà delle aziende intervistate (il 52%) ha dichiarato di aver offerto ai propri dipendenti corsi on-line, peraltro apprezzati dalla maggioranza dei dipendenti (66%). Chi non ha proposto corsi per il personale (48% delle aziende intervistate) imputa la causa alla chiusura forzata per l’emergenza Covid-19 (32,5%), o alla preferenza della formazione tradizionale in presenza (25,6%), oppure alla mancanza di attivazione di politiche di formazione aziendale.
La formazione on-line è stata una soluzione necessaria durante il Lockdown e ha dato spunto a una riflessione sul futuro della modalità di fruizione della formazione. Oltre il 55% delle aziende è propenso ad adottare formazione a distanza. L’e-learning ha quindi trovato nell’emergenza la grande opportunità di farsi conoscere e “testare” in modo massiccio, risultando preferito anche dal 55% dei dipendenti.
In merito ai contenuti, una precedente indagine condotta a gennaio 2020 evidenziava che il 27% delle aziende affermava che la formazione continua e tailor-made fosse un aspetto chiave per restare al passo con i tempi, creando nuove figure professionali specifiche che non esistono sul mercato e che possono essere formate solo on the job.
Questo aspetto viene ulteriormente confermato dalle imprese come fondamentale anche post Covid-19, perché il focus della formazione futura sarà soprattutto sul reskilling, ovvero sulla riqualificazione del personale finalizzata ad adattare le risorse interne alle diverse attività e necessità di business.