L'etichettatura dei prodotti agroalimentari torna d'attualità, dopo che Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Thailandia (appartenenti alla Foreign Policy and Global Health) hanno esortato "gli Stati Membri ad adottare politiche fiscali e regolatorie" in materia di etichettatura.
Una normativa che colpirebbe i cosiddetti “cibi insalubri”. Tra questi, ancora una volta, figurano una serie di eccellenze italiane, come prosciutto, parmigiano e olio di oliva. Alimenti che già la scorsa estate avevano rischiato l’etichettatura a semaforo, oltre a una serie di tasse in quanto contenenti troppo sale, zucchero o grassi.
Fortunatamente, anche per la pressione esercitata dal nostro Paese, il 27 settembre era stata adottata una Dichiarazione politica che non prevedeva queste misure. Ma nei giorni scorsi, una proposta analoga è stata ripresentata, al punto che l’Ambasciatore Gian Lorenzo Cornado ha ribadito come “il testo della Dichiarazione Politica di settembre, negoziato con spirito costruttivo da tutte le delegazioni, tra cui l’Italia, e successivamente incorporato nella risoluzione dell’Assemblea Generale del 10 ottobre, costituiva un risultato positivo e bilanciato”. Al punto che aveva ottenuto anche il consenso nella comunità scientifica sul fatto che non esistono cibi “sani o insalubri”, ma solo “diete sane o insalubri”.
Sull'argomento è intervenuto anche Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, ribadendo come "Etichettando come insalubri alimenti che contengono al loro interno anche grassi e sali, si corre il rischio di ingannare il consumatore, si pensi ai bollini neri apposti sul Parmigiano in Cile, e di nuocere all''altissima qualità dei prodotti italiani, in primis i DOP e gli IGP, e in generale alla filiera agroalimentare nel suo complesso che si ispira ai più alti standard di qualità, sia per quanto riguarda le materie prime che i processi di trasformazione. Non solo: con questo genere di iniziative si rischia di distruggere intere filiere agroalimentari di milioni di agricoltori e PMI avvantaggiando solo poche multinazionali più interessate ad usare la chimica come ingredientistica di base per ridurre i costi di produzione e innalzare i propri margini a scapito del consumatore oggetto di una vera e propria campagna di disinformazione".
Scordamaglia è chiaro: "Si sta facendo passare il messaggio che esistano cibi salubri e cibi non salubri, mentre la verità è che esistono solo diete e stili di vita salubri o insalubri e che la dieta migliore è quella italiana, la quale contiene tutti i cibi in modo equilibrato. Un concetto che il comparto agroalimentare italiano ha ben capito dal momento che il nostro Paese è in cima alla classifica di Bloomberg per longevità".
Tali considerazioni non possono essere ignorate e le norme proposte pongono l'OMS davanti a un atto di responsabilità: scegliere come far fronte alla sfida di nutrire la popolazione del futuro. "Per questo - ha concluso Scordamaglia - è necessario che l'OMS smetta di sostenere posizioni ideologiche e nella maggior parte dei casi prive di evidenze scientifiche e che finiscono con il tutelare interessi di pochi; non servono bollini o etichettature che mettano in guardia su specifici cibi, ma è necessario educare il consumatore alla consapevolezza alimentare, promuovendo iniziative di sensibilizzazione e comunicazione, non certo avvisi macabri e ingannevoli".