Le basi scientifiche del fenomeno definito come convergenza traggono origine da considerazioni di carattere evolutivo, verificando come specie diverse, posto condividano ambienti o anche nicchie ecologiche senza marcate differenze, col tempo sviluppano, a seguito delle stesse pressioni ambientali, tutta una serie di adattamenti che le portano a somigliarsi, quindi a convergere su forme e comportamenti simili. Un ragionamento analogo si può sviluppare anche per il mondo delle tecnologie, e uno dei primi casi in cui si evidenziò questo concetto fu quello della convergenza di voce e dati su una stessa rete di comunicazione. L’evoluzione della tecnologica digitale ha poi portato a teorizzare la convergenza come l’unione di strumenti diversi ma finalizzati a erogare informazioni utilizzando interfacce simili, se non proprio uguali, per accedere a tutti i servizi, eliminando quindi una distinzione netta tra i mezzi di comunicazione utilizzati. Attualmente stiamo assistendo a una forte convergenza tra tablet, laptop e smartphone, che sono, si potrebbe dire, in forte rotta di collisione. Di questo in effetti si parla già da tempo, ma forse non sono stati completamente analizzati tutti gli effetti, concentrando semmai le considerazioni su un’evidente crescita di mercato di alcune tipologie di sistemi e su un corrispondente calo di altri, segnatamente i laptop e i PC in genere. Ma partiamo dalle “pressioni ambientali” di cui prima si parlava, in questo contesto riassumibili nella richiesta da parte degli utenti di modalità omogenee di interazione con smartphone, tablet, PC, ma anche con smart TV e a breve con tutta la serie di device che iniziano a essere presenti nelle nuove generazioni di autovetture. A un certo punto si iniziò a parlare di “era post PC”, ma convergenza non significa “sopraffazione”, per cui se nuovi sistemi impongono cambiamenti ai vecchi, i nuovi tendono a inglobare qualcosa dai precedenti, con reciproco impatto modificante verso l’obiettivo dell’indiferrenziazione tra i mezzi di accesso alle informazioni, con una quasi evanescenza, almeno come fruizione e potenzialità, della linea di demarcazione tra gli uni e gli altri. Come esempi emblematici: gli smartphone diventano più potenti e “large” e i tablet, già potenti, più piccoli; i laptop diventano touchscreen e i tablet usano tastiere wireless, con ciò avvicinandosi ai laptop stessi. Soffermandosi su questa seconda esemplificazione, l’aggiunta di touchscreen ai nuovi laptop, quelli della categoria ultrabook, rende questi ultimi più competitivi con i tablet, considerando anche la possibilità di svolgere meglio attività di lavoro “tradizionali” e una maggiore durata delle batterie, pur permanendo un gap di costo ancora significativo, che dovrà ridursi, a tutto vantaggio dell’utente finale. Alla fine di questo processo di convergenza, le vere uniche differenze saranno il prezzo e il sistema operativo adottato, mentre si evidenzierà la possibilità di una “computing experience” continua, con ciò intendendo poter fare quello che si vuole, quando si vuole e dove si vuole. Quest’ultima frase suona molto da “grande guru dell’informatica” o peggio da osannato futurologo, personaggi che da sempre consideriamo più dannosi che altro, ma qui c’è della sostanza sia concettuale che materiale che permette di ipotizzare scenari assolutamente realistici, tra l’altro in parte già in atto, in cui si ha un livello di libertà e produttività che nessuna generazione prima della nostra aveva mai visto. E la parola “produttività” ci riporta al nostro contesto di riferimento, quello delle attività manifatturiere: pur con gli accettabili e tradizionali ritardi del caso, il mondo dell’automazione e del controllo di processo non potrà non farsi coinvolgere, e deve sin d’ora preparasi a gestire nuove problematiche come quelle imposte dal paradigma BYOD, Bring Your Own Device”, di cui tanto si parla e che abbiamo iniziato ad affrontare sul numero di marzo della nostra rivista.
Aldo Cavalcoli