La vittoria di Donald Trump in America apre nuovi scenari, anche dal punto di vista industriale, soprattutto in una fase delicata come l'attuale. L'economia americana è infatti nel settimo anno di espansione e, dal 2009, l’occupazione è in continua crescita. Due fattori positivi, ma che spaventano gli economisti. Sulla base delle serie storiche, infatti, i cicli espansivi non hanno mai superato i dieci anni.
Con la crisi del 2008, però, molte cose sono cambiate e Trump insiste su una politica di protezione industriale, con l'obiettivo di difendere l'industria americana che sta emigrando in Paesi a minor costo del lavoro. Da qui l'insistenza di Trump per imporre maggiori tasse sulle importazioni nei confronti dei Paesi che praticano la svalutazione con lo scopo specifico di vendere di più sul mercato statunitense.
Una scelta che prevede anche la rinegoziazione dell’Accordo nordamericano per il libero scambio (Nafta), il ritiro dal Tpp e l'apertura di un contenzioso con la Cina alla World Trade Organization. Malgrado questo, Trump ha dichiarato di voler allentare le tensioni con la Russia e la Cina, trovando interessi comuni.
Sul fronte interno, invece, l'obiettivo dichiarato è quello di collocare gli statunitensi nelle posizioni apicali, migliorando contemporaneamente i posti di lavoro, i salari e la sicurezza degli americani. Nel proprio “Contratto con gli americani”, il nuovo presidente ha così promesso 25 milioni di posti di lavoro nel prossimo decennio, a fronte di una crescita annuale del Pil compresa tra il 3,5 e il 4%.
In parallelo, il sistema fiscale dovrebbe andare nella direzione di concedere agevolazioni fiscali e riduzioni per la classe media americana, con una contrazione delle aliquote fiscali e il condono per un rientro dei capitali dall’estero.
Decisamente controcorrente, infine, le sue posizioni di politica energetica, che si basano sul presupposto che il cambiamento climatico globale è una “truffa inventata dai cinesi”. Da qui il potenziamento delle fonti fossili, con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza energetica dell'America.
Il tutto completato da un profondo rinnovamento delle infrastrutture, con investimenti nel settore dei trasporti, dell'acqua potabile, della rete elettrica e delle telecomunicazioni. Il tutto sfruttando, ovviamente, l'acciaio americano.