Secondo le stime di Federalimentare, che rappresenta oltre 58 mila imprese agroalimentari italiane, nel 2013 (ultimo anno pre-embargo), con una quota export di 562,4 milioni di euro, la Russia aveva consolidato l’11° posto tra gli sbocchi del 'food & beverage' nazionale, coprendo il 2,2% dell’intero export alimentare nazionale. Tale quota aveva generato una variazione del +24,4% sul 2012, contro il +5,8% segnato in parallelo dall’export di settore a livello 'mondo'.
Nel 2014 l’export dell’industria alimentare in Russia ha accusato un calo del -6,0%, contro il +3,5% del mercato globale.
Nel primo bimestre del 2015 l’export di food & beverage italiano si è dimezzato, perdendo una quota di 44,9 milioni, pari al -46,3%. Colpiti soprattutto alcuni settori, come le carni preparate (-83%) e il lattierocaseario che si è praticamente azzerato (-97%).
Sono questi i preoccupanti dati che Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, ha ribadito in vista dell'incontro di oggi (10 giugno) tra Renzi e Putin. “Il blocco è un grave danno per gli operatori italiani”, ha ribadito Scordamaglia, “ma anche per le aziende e i consumatori russi. La visita del Presidente Putin in Expo sia occasione per aprire una nuova fase di dialogo”.
I dati, del resto, sono eloquenti: “In meno di un anno l’embargo russo è costato alle aziende italiane circa 165 milioni di euro. I limiti imposti ad uno dei mercati più vivaci per l’export agroalimentare italiano sta bloccando gli operatori nazionali e spiazza al contempo in modo pesantissimo il consumatore russo, che stava apprezzando in modo crescente i nostri prodotti. Esso interrompe un processo di scoperta e fidelizzazione e avvantaggia la concorrenza e la contraffazione. Il prolungamento del fenomeno recherà un 'effetto scia' sul mercato assai difficile da recuperare”.