Calo di attrattività sul mercato per il 44% delle imprese, ma anche riduzione della capacità di ingaggiare, motivare e trattenere le persone in azienda. Nell’ultimo anno il tasso di turnover è aumentato per il 73% delle aziende e non è stato solo per ragioni fisiologiche. Il fenomeno delle Grandi Dimissioni interessa anche il nostro Paese: il 35% degli occupati ha intenzione di cambiare lavoro entro 18 mesi, che si aggiunge a un 10% che ha già fatto il salto. In pratica, uno su due ha cambiato o vuole cambiare posto di lavoro e questo dato rivela un malessere generale, ancor più preoccupante in un mercato rigido come il nostro.
Il livello di engagement, infatti, si è ridotto ancora di più nell’ultimo anno, passando dal 20% al 14% e solo il 17% si sente davvero incluso e valorizzato in azienda. Questo livello di insoddisfazione e volontà di cambiare azienda cresce con i giovani (18-30 anni), in determinati settori (Ict, servizi e finance) e per le professionalità digitali.
Tra le persone che hanno cambiato lavoro, 4 su 10 lo hanno fatto senza un’altra offerta di lavoro al momento delle dimissioni. Chi cambia lo fa principalmente per cercare benefici economici (46%), opportunità di crescita e carriera (35%), per una maggiore salute fisica o mentale (24%), per inseguire le proprie passioni personali (18%) o per una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (18%).
In generale, c’è un clima di malessere ancora sottovalutato dalle imprese nonostante il fenomeno di dimissioni in corso, come emerge dalla ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice 2022 della School of Management del Politecnico di Milano.
Un nuovo equilibrio tra libertà e responsabilità
Analizzando tre dimensioni del benessere lavorativo (fisica, sociale e psicologica), solo il 9% degli occupati dichiara di stare bene in tutte e tre, come risulta da una ricerca Doxa condotta per l’Osservatorio HR Innovation Practice su un migliaio di impiegati. L’aspetto più critico è quello psicologico: 4 su 10 hanno avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere emotivo (ansia e stress).
Le cause principali vengono indicate nei ritmi e i carichi di lavoro (47%), nella difficile conciliazione tra lavoro e vita privata (29%), nelle relazioni conflittuali con colleghi e e/o responsabili (26%), nella mancanza di prospettive di carriera (25%), nella complessità delle attività lavorative (23%). Preoccupazioni che si riflettono anche sullo stato fisico, con difficoltà a riposare bene e/o insonnia (55%).
«Di fatto, l’irruzione massiva del lavoro da remoto ha rotto le barriere tra attività professionale e vita privata e ha fatto porre domande sul senso stesso del lavoro che resta sì importante, ma non deve mortificare la vita delle persone. Il digitale a sua volta deve restare solo un fattore abilitante. Per esempio, gli uffici andranno ripensati in funzione delle attività da svolgere: per la condivisione di analisi critiche e strategie e per la costruzione del lavoro di squadra (relazioni sociali) sarà sempre preferibile guardarsi negli occhi, mentre per altre attività più individuali potrà essere sufficiente la collaborazione online. Io vedo un modello del lavoro dove si esprima una libertà responsabile, con obiettivi e tempi finali da condividere in un contesto di fiducia. In questa nuova ottica, non più basata sul mero scambio tra prestazione e salario in un tempo stabilito secondo una logica di controllo, anche la contrattualistica andrà ripensata», commenta Marco Bentivogli, coordinatore nazionale di Base Italia.
Il malessere diffuso nelle aziende, però, sembra quasi totalmente sconosciuto al management, che solo nel 5% dei casi lo considera un aspetto problematico.
«Le dimissioni in Italia sono lo specchio di due fenomeni correlati: il crescente malessere dei lavoratori, spesso non adeguatamente identificato dalle organizzazioni, e la volontà di dare un nuovo significato al lavoro, per cui molte persone oggi cambiano anche a condizioni economiche inferiori, per seguire passioni e interessi personali o conseguire maggiore flessibilità. Di minor rilievo, rispetto a quanto documentato in altri Paesi come gli Stati Uniti, è invece il desiderio di abbandonare del tutto il mondo del lavoro, indicato in Italia come ragione di possibili dimissioni solo dal 6% dei lavoratori», spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice.
«In questo quadro che sta mettendo in crisi il mercato del lavoro e i tradizionali modelli organizzativi è fondamentale il ruolo della Direzione HR, a cui si richiede una funzione guida per portare l’organizzazione a un modello di lavoro “sostenibile”, che metta al centro il benessere dei lavoratori, il loro coinvolgimento e la loro impiegabilità».
Il ruolo guida dell’HR per un modello sostenibile
Le priorità della direzione HR per costruire un modello del lavoro sostenibile si riassumono in quattro punti:
- Agile Talent Management per una strategia di attrazione continuativa e una politica di mobilità interna.
- Employability Enhancement con piani di formazione personalizzati, gestibili anche in autonomia e definizione fluida di ruoli e responsabilità per far emergere i singoli potenziali, competenze e attitudini. Eppure, ad oggi, solo 1 su 10 è del tutto soddisfatto delle azioni messe in campo dall’azienda per garantire l’occupabilità nel lungo termine. Inoltre oggi il 40% dei lavoratori lavorerebbe per più datori di lavoro, ma solo il 4% pone una forza lavoro “contingente” come priorità.
- Result based Culture, cioè sviluppare una organizzazione del lavoro basata sui risultati, con una comunicazione trasparente su retribuzioni, riconoscimenti e obiettivi raggiunti e favorire un clima inclusivo che contempli l’errore. Il 30% non percepisce un ambiente di uguaglianza di trattamento né di sicurezza psicologica.
- Holistic wellbeing per favorire il benessere relazionale, psicologico e fisico e monitorare con i tool disponibili il livello di engagement e pianificazione di attività a supporto. I servizi per il benessere fisico e psicologico sono tra quelli in cui i lavoratori si sentono più insoddisfatti.
«È giunto il momento di costruire insieme un nuovo modello del lavoro, in cui l’organizzazione si prenda davvero cura delle persone e le ascolti nelle loro differenti esigenze ed espressioni. Anche i collaboratori però devono far sentire la loro voce. Quello che è avvenuto ha rivoluzionato il modo di lavorare e ha dimostrato che si può cercare una migliore qualità della vita mantenendo e aumentando la produttività del lavoro», commenta Chiara Bisconti, consulente HR e autrice di “Smart Agili Felici. Il nuovo modo di lavorare che libera la vita” (Garzanti 2021).
HR per una “Connected People Care” data-driven
L’utilizzo della leva tecnologica e dei dati per la presa di decisioni può aiutare l’evoluzione della Direzione HR verso un modello di lavoro sostenibile, con un approccio più orientato alle esigenze specifiche di ogni persona, capace di far leva sull’utilizzo di nuovi canali di relazione e di strumenti per raccogliere ed elaborare una moltitudine di dati provenienti da fonti diverse.
Tuttavia, soltanto il 14% delle organizzazioni ha un approccio maturo alla gestione e all’utilizzo dei dati, con una reportistica in tempo reale o predittiva e figure dedicate. Per lo più, la reportistica è ancora a sei mesi o a un anno, benché non manchino i supporti tecnologici per un monitoraggio puntuale dello stato di benessere e delle preferenze, potenzialità e percorsi di sviluppo dei dipendenti. Ad ogni modo, gli investimenti digitali a supporto delle iniziative HR continuano a crescere (+5%), con il 55% delle organizzazioni che dichiarano un aumento degli investimenti e il 38% nessuna variazione, ma sono concentrati soprattutto sulla formazione, l’onboarding e l’attrazione di nuovi candidati.
«Per migliorare benessere ed engagement bisogna agire in maniera prioritaria su due leve. Da una parte aumentare la flessibilità, intesa soprattutto come responsabilizzazione e autonomia della persona nella gestione delle proprie attività lavorative. Dall’altra, creare un ambiente aperto e inclusivo, capace di valorizzare al meglio le competenze dei lavoratori, ma anche i loro interessi e passioni personali, cui dare piena cittadinanza all’interno dei confini organizzativi», afferma Martina Mauri, direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice.
Employer Branding, come potenziarlo secondo Indeed, Codemotion, Humana
Per il 44% le aziende si ritrovano meno attrattive dopo la pandemia. Una posizione aperta su cinque riguarda professionalità digitali e la quasi totalità (96%) delle aziende ha difficoltà ad attrarre e sviluppare le competenze necessarie per affrontare la trasformazione digitale.
Anche la riqualificazione della forza lavoro si rivela molto complessa: tra uno e due anni il 9% dei dipendenti dovrà essere riallocato perché non ha le competenze adeguate a svolgere il proprio lavoro. Di sicuro, c’è carenza di figure specializzate sul mercato, ma in questo scenario critico solo il 30% delle aziende ha una People Strategy che mappi le competenze interne e analizzi le risorse e le capacità che serviranno sempre più e le azioni necessarie da mettere in campo.
Quanto alle azioni di employer branding per essere attrattivi sul mercato, spesso non sono allineate con quelle di talent management all’interno, ma i candidati chiedono coerenza tra quanto promesso e quanto corrisposto. «Il disallineamento spesso è a monte tra politiche HR e strategia di business, che quindi non si riflette in percorsi di crescita adeguati», spiega Luana Terrile, Outside sales director di Indeed, piattaforma per il lavoro.
A questa mancanza di collegamento tra selezione e ricerca e politiche aziendali, va aggiunta la frequente mancanza di kpi per misurare l’efficacia delle azioni stesse di employer branding. «Innanzitutto la promozione dell’azienda a fini di assunzione dovrebbe essere trattata come una identità di marca nel marketing, prendendo coscienza dei valori aziendali e condividendoli in azioni strutturate, perché il giovane cerca scopo e trasparenza, oltre ad autonomia e padronanza (eccellenza nel suo lavoro). In secondo luogo bisognerebbe misurare l’impatto di queste azioni per esempio sui tempi di assunzione e sui diversi canali impiegati», spiega Nelly Bonfiglio, Chief Commercial Officer di Codemotion, la piattaforma della community degli sviluppatori informatici, funzione ricercatissima, con 5 milioni di posti vacanti in Europa e solo un milione di risorse, di cui solo il 13% cerca lavoro attivamente.
Quanto ai giovani in generale, ormai flessibilità e smart working sono un prerequisito, cui si aggiunge la richiesta di percorsi chiari di crescita e sviluppo. «Non si presentano neppure al secondo colloquio se nel pacchetto non è incluso il work-life balance e vogliono capire da subito se c’è cura e attenzione alle persone, a partire dalla disposizione degli uffici che vogliono vedere prima di decidere», racconta Roberta Bullo, direttore generale agenzia per il lavoro Gruppo Humana.
Gli HR Innovation Award 2022
Tra i vincitori degli HR Innovation Award 2022 Bosch Rexroth nella categoria “Ottimizzazione e digitalizzazione dei processi”. Con il progetto “DOA - Digital Organization Accelerator” l’azienda ha digitalizzato i processi HR sviluppando una cultura data-driven, con il coinvolgimento attivo delle funzioni HR, IT e di tutto il management e con un approccio diretto e bottom-up di tutta l’organizzazione, che ha contribuito alla creazione di nuovi strumenti per adattarsi al processo di reingegnerizzazione continuo delle pratiche HR.
«Stiamo vivendo una fase di profonda trasformazione culturale. Il punto di partenza è stato comprendere che il cambiamento culturale, che definiamo sinteticamente “digital mindset”, non è affrontabile solo fornendo ai collaboratori training o partecipazioni a convention, perché spiegare un approccio non significa iniettarlo automaticamente nella cultura dell’organizzazione aziendale. La nostra storia ci ha mostrato quanto sia importante partire dalle persone e da strumenti e processi “disegnati” sulle loro necessità. Per questo abbiamo indagato i principali bisogni dei nostri collaboratori e sviluppato soluzioni digitali, sempre più sofisticate, in grado di soddisfare esigenze specifiche e misurare i risultati», spiega Anna Saccon, HR Director Italia & HR Coordinator Europe South di Bosch Rexroth.
Gli altri vincitori dell’HR Innovation Practice Award 2022 sono stati Città di Torino, Credito Emiliano e Mondelēz International. L’Osservatorio ha assegnato ad Assicurazioni Generali l’HR Innovation Impact Award 2022 (premio per aziende già vincitrici dell’HR Innovation Award, in cui il progetto negli ultimi anni ha avuto un impatto significativo sull’organizzazione), per aver arricchito la piattaforma di formazione del Gruppo di un nuovo percorso di apprendimento “MAP2theNew”, dedicato a tutti i people manager per sviluppare nuove competenze per guidare, organizzare e gestire team altamente performanti con il lavoro ibrido.