“L’economia circolare è uno dei due pilastri fondamentali della transizione ecologica, eppure, rispetto alla decarbonizzazione per cui è essenziale, viene sottovalutata e spesso identificata solo con il riciclo dei rifiuti. Servono maggiori investimenti pubblici e un quadro normativo stabile e incentivante”.
Questa dichiarazione di Davide Chiaroni, responsabile scientifico del Report Circular Economy Report 2023, elaborato dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, racchiude un po’ lo scenario che vede l’Italia al penultimo posto tra i grandi Paesi europei per gli investimenti privati in economia circolare.
I risparmi ottenuti in Italia nell’ultimo anno grazie all’adozione di pratiche di economia circolare sono di 1 miliardo e 200 milioni di euro, che fanno salire il totale a 15,6 miliardi, ovvero appena il 15% dell’obiettivo di 103 fissato al 2030. Rimane dunque un gap di quasi 88 miliardi, che significa decuplicare lo sforzo se si vuole colmarlo.
L’importanza degli investimenti per l’economia circolare, oltre alla filosofia
Dalla strategia delle 4R - rigenerazione, riparazione, riutilizzo, riciclo - alla filosofia “dalla culla alla culla”, l’importante è bilanciare tutti i fattori, avviando il passaggio dal tradizionale modello di economia lineare a uno di tipo circolare, che promette di raggiungere oltre agli obiettivi economici, anche quelli di tipo ambientale, sociale e geopolitico.
Il posizionamento complessivo dell’Italia è, infatti, sostenuto principalmente dalla capacità di riciclare i rifiuti, attività virtuosa ma del tutto insufficiente, visto che dal riciclo sarebbe tempo di passare al riuso.
L’Italia ha alto tasso di riciclo rispetto agli altri Paesi europei con il 64%, di cui il 48% rientra in circolo (fonte Ispra), ma questo è solo uno dei fattori e non basta più. “Senza soluzioni strutturali che ci consentano di soddisfare la domanda in crescita di beni e servizi con una riduzione del fabbisogno di materie prime, soprattutto quelle critiche, non potremo mantenere la sostenibilità del sistema economico”, afferma Chiaroni.
L’Europa invece mostra un passo diverso, con una diffusione di politichesempre più trasversali e una espansione delle aree e dei prodotti coinvolti dalla direttiva eco-design. Tuttavia, non mancano segnali incoraggianti: in Italia crescono start up e progetti di economia circolare.
L’Italia brilla per innovazione tecnologia relativa all’Economia circolare
l’Italia è seconda in Europa per numero totale di brevetti relativi all’Economia circolare e sono 210 le startup circolari che hanno raccolto 122,7 milioni di euro di finanziamenti, ma ancora un’inezia se si considerano i 2,4 miliardi andati nel solo 2022 al totale delle startup italiane.
L’analisi delle startup circolari italiane ad alto contenuto innovativo fondate tra gennaio 2018 e maggio 2023 sono collocate per il 65% al Nord, in particolare in Lombardia (34%, pari a 71 startup) e per il 35% raggruppato in tre città: Milano (45), Torino (15) e Roma (15). Metà di esse è concentrata in quattro settori economici: Agroalimentare (39), Tessile (33), Energia (20) e Gestione rifiuti (18).
Quanto ai brevetti associati all’Economia circolare, nel 2021 ne sono stati registrati 191 da Germania, Francia, Italia e Spagna (+103% se si considerano i 94 del 2019), concentrati prevalentemente in tre settori: Chimico, Manifatturiero e Gestione dei rifiuti, a cui vanno aggiunti, per l’Italia, Tessile, Logistica e Metallurgia.
A farla da padrona è la Germania guidata dai centri di ricerca delle grandi imprese, ma l’Italia è seconda per numero totale e prima per le registrazioni annuali nel 2020, soprattutto grazie all’inventiva delle Pmi e con il Politecnico di Milano a guidare la classifica per brevetti.
Adozione dell’Economia circolare tra le imprese italiane
Il Circular Economy Report riporta i risultati di una survey sull’adozione dell’Economia circolare condotta intervistando le imprese italiane di sette settori chiave.
Quasi il 60% delle grandi aziende ha adottato almeno una pratica, ma si scende al 29% nelle piccole, dove al contrario crescono del 9% gli “scettici” che non ne vogliono sapere, passati dal 38% del 2022 al 47% del 2023.
La transizione verso l’economia circolare per il 70% delle imprese è ancora ai primi passi (appena il 2% afferma di averla completata), con un livello medio di 2,06 in una scala da un minimo di uno a un massimo di cinque.
L’impegno delle aziende è orientato alla valorizzazione del fine vita dei prodotti traendo materie prime seconde dagli scarti, a scapito delle pratiche incentrate su design ed estensione dell’utilizzo.
Riciclo, investimenti e settori
Tuttavia, negli ultimi anni si è allargata la forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e il tasso di riciclo: nel 2010 erano rispettivamente il 35,3% e il 34%, mentre nel 2021 hanno raggiunto il 64% e il 48,1%, dimostrando che un flusso omogeno in termini di raccolta è condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere elevati tassi di riciclo.
Il livello degli investimenti privati è ancora troppo basso, in più della metà dei casi inferiore ai 50.000 euro: questo favorisce il tempo di rientro (entro l’anno per il 41% delle imprese) ma ciò accade perché riguarda interventi semplici e non strutturali su processi e prodotti.
Quanto ai settori, Building & Construction e Impiantistica Industriale sono quelli che registrano più progetti (rispettivamente il 61% e il 48% di imprese hanno adottato almeno una pratica manageriale).
l’Automotive è fanalino di coda con meno di un’impresa su quattro che si è attivata, nonostante il significativo potenziale. Le tecnologie digitali si confermano fondamentali, a partire dai sistemi avanzati di gestione dei dati.