Il LinkedIn Emerging Jobs Italia 2019 stila la classifica delle figure tecniche più richieste dalle imprese italiane. Sviluppatori software in testa, con richieste concentrate nel nord ovest del Paese, ma con tempi lunghi per trovare il giusto match tra domanda e offerta. Lo shortage di competenze per l’economia digitale sono confermate anche dall’Osservatorio delle Competenze Digitali 2019 di Aica, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia e dall’Osservatorio Agenda digitale del Politecnico di Milano
Nella Top 10 dei lavori emergenti della ricerca di LinkedIn Emerging Jobs Italia 2019 7 su 10 sono profili tecnici legati allo sviluppo del software e alla gestione dei dati informatici a supporto del business. L’ Ict rappresenta la quota maggiore di offerte di lavoro sul web, con 4 su 10 posizioni aperte nel 2018, con quasi la metà delle richieste dal Nord Ovest (45%), il 26% dal Nord-Est e il 20% dal Centro. Fanalini di coda Sud e Isole con il 6%.
Gli annunci di figure digitali su LinkedIn
Al primo posto spicca il Data protection officer, che deve saperne di Privacy law, Data privacy, Privacy policies, General data protection regulation (GDPR) e Legal assistance. Al secondo posto il Salesforce consultant che deve conoscere i software dedicati alle vendite e al terzo il Big data developer, lo sviluppatore di software per l’analisi e l’interpretazione dei big data.
Al quarto posto l’Artificial Intelligence Specialist, uno dei profili più innovativi e con il tasso maggiore di crescita, esperto di Machine learning, Computer vision, AI, Python (linguaggio di programmazione) e reti neurali, tutte tecnologie e competenze necessarie alla smart factory.
Al quinto posto c’è il Bim Specialist (Building information modeling), figura tecnica altamente specializzata che ottimizza tutte le fasi che riguardano la progettazione, la costruzione e la gestione di nuovi edifici. Al sesto posto il Lending officer, colui che determina e detta le pratiche di prestito dell’istituto finanziario per cui lavora.
Al settimo posto il Warehouse operative, il responsabile magazzino che, con i nuovi canali distributivi digitali, sta vivendo una vera e propria evoluzione delle mansioni e delle responsabilità.
All’ottavo e al nono posto ci sono il Data scientist e il Cybersecurity specialist e al decimo il Customer success specialist, una nuova figura nell’ambito della relazione con i clienti il quale, a differenza di altri colleghi più “tradizionali” del reparto CRM, che svolgono le proprie mansioni in modo reattivo, si trovano a lavorare in modo proattivo all’interno e con i clienti per ottenere il miglior risultato per tutti gli stakeholder.
Figure digitali innovative sono presenti anche nel prosieguo della classifica dall’undicesimo al ventesimo posto (Top 20), tra cui il Robotics engineer e il DevOps engineer, job title questo che nasce dalla contrazione tra “development” (sviluppo) e “operations”, in pratica “messa in produzione” o “deployment”, che è un metodo di sviluppo software che punta alla comunicazione, collaborazione e integrazione tra sviluppatori e addetti alle operations. E per concludere, si ricerca coerentemente l’Information Technology recruiter, ossia il selezionatore che sappia riconoscere le competenze IT nei candidati.
Il punto di vista HR
Anche secondo i responsabili HR (Human Resource), tra le competenze professionali necessarie per entrare e crescere nel mercato del lavoro, al primo posto quelle in ambito tecnologico e di coding, cioè di programmazione informatica; quindi la capacità di gestire in maniera adeguata Microsoft Office e i social media; il web design e i data analytics. Tuttavia, il 40% dei recruiter italiani pensa che la disponibilità di candidati preparati non sia sufficiente a soddisfare il fabbisogno delle aziende.
Secondo la ricerca Recruiter Sentiment 2019 Italia, svolta dalla società Coleman Parkes per conto di LinkedIn, su un campione di oltre 300 responsabili delle Risorse Umane di aziende e agenzie per il lavoro di tutta Italia in otto settori industriali, il mismatch tra domanda e offerta sarebbe soprattutto nelle competenze in ambito tecnologico e di coding (36%), nel problem solving (31%), nella creatività (30%), nella gestione corretta dei tempi di lavoro (28%), nel web design (28%), nella collaborazione (27%) e nella leadership (26%).
Caccia a sviluppatori software, digital, AI e Big Data specialist
La preponderanza di annunci sulla ricerca di figure digitali, con tempi lunghi di chiusura delle posizioni, è confermata dall’Osservatorio delle Competenze Digitali 2019 condotto da Aica , Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia. Di fatto lo scorso anno sono stati circa 106.000 gli annunci di lavoro rivolti a profili Ict a livello nazionale, con una crescita superiore al 27% rispetto al 2017. Quasi la metà riguarda sviluppatori software (i cosiddetti “developers”), cioè i programmatori, che nel 30% dei casi rimangono scoperti per 60 giorni o più sulle piattaforme professionali.
La seconda e terza posizione più ricercata sono i digital consultant (più di 12.000 annunci) e i digital media specialist (quasi 7.000). E sono in crescita anche le nuove professioni legate alla trasformazione digitale, con oltre 4.500 ricerche: Artificial intelligence specialist, Big data specialist, Blockchain specialist, Cloud computing specialist, IoT Specialist, Mobile specialist e Robotics specialist.
Soft skill inseguono il Digital skill rate
Il Digital skill rate, cioè la percentuale di competenze digitali necessarie al proprio ruolo, è al 52% per le professioni Ict, ed è rincorso dalle soft skill, con una media del 30% e punte fino al 63%.
In pratica, dall’indagine condotta tra luglio e settembre 2019 presso 50 aziende ICT emerge che le soft skill, con uno score medio di 4,1 su 6, sono nettamente più necessarie delle skill legate ai processi Ict (3,61 su 6) e alle tecnologie (3,23 su 6). Per le soft skill, i bisogni formativi più urgenti sono: lo sviluppo delle capacità comunicative (4,42 su 6), il team management (4,34 su 6), il problem solving (4,26 su 6), la proattività (4,26 su 6) e la gestione dello stress (4,20 su 6).
Continua la domanda di competenze digitali anche nelle professioni non-ICT, dove in media il Digital skill rate è del 13,8%, mentre la richiesta di competenze trasversali (Soft skill rate) è del 43%.
Offerta formativa Ict: troppi diplomati, pochi laureati
Sono in crescita per le lauree Ict i focus su Big data e Data science; Sicurezza informatica e Cybersecurity. Fra i corsi censiti su Intelligenza artificiale, oltre il 64% hanno una copertura medio-alta delle tematiche, mentre per IoT tra i corsi censiti solo il 25% tratta in maniera abbastanza approfondita la materia. Resta limitata l’offerta di insegnamenti in area Cloud Computing (24% dei corsi con copertura medio-alta), mentre manca ancora la copertura sull’utilizzo in ambito aziendale e gli aspetti contrattualistici/legali e finanziari.
Nel 2018 i laureati Ict sono stati in forte aumento (+14,5% rispetto al 2017), di cui 5.140 circa in Informatica e Ingegneria Informatica (INFO), in aumento del 16% rispetto al 2017. La crescita è maggiore per le lauree triennali (+19%) rispetto alle magistrali (+12%).
Rallenta però al 3% la crescita delle immatricolazioni, rispetto ai tassi a doppia cifra degli anni passati. E restano alte le percentuali di abbandono con un trend laureati/immatricolati sotto il 40% nelle triennali e attorno al 60% nelle magistrali Ict. Fa eccezione il Nord Ovest dove le immatricolazioni alle lauree triennali Ict aumentano dell’11%. In crescita anche la quota femminile di immatricolazioni, che arriva al 29% nel Nord Ovest (era 25% nel 2017).
Quanto ai diplomati in materie tecnico-informatiche solo uno su tre si iscrive all’università, contro una media nazionale di uno su due. Il dato può essere letto positivamente come una conseguenza del fatto che un diplomato Ict su due trovi lavoro entro sei mesi dal diploma, ma a bassa qualificazione specialistica.
Le aziende richiedono infatti competenze digitali specialistiche e hanno bisogno di laureati Ict, rispetto a cui la situazione peggiora. Per il triennio 2019-2021 si prevedono fra le 67.100 e le 94.500 richieste, mentre il sistema formativo ne fornirà meno di 82.000, di cui due terzi diplomati e un terzo laureati.
Il totale è in crescita (erano 73.000 nel triennio 2017-19), ma ci sono troppi diplomati, con una carenza di 5.100 laureati pari al 35% del fabbisogno (erano 4.400 nel 2017) e un surplus di circa 8.400 diplomati, ovvero il 95% in più di quanto necessario (erano 8.000 nel 2017).
Questi hanno qualifiche Ict non ancora sufficienti rispetto alle reali esigenze del mercato, per cui potrebbero essere comunque impiegati e formati dalle aziende con addestramento interno, oppure diretti verso corsi post-diploma, soprattutto nell’ambito dell’offerta formativa degli Its, che è una valida alternativa all’università per il livello formativo e il mix di apprendimento accademico e sul campo, direttamente in azienda e sulle macchine più avanzate.
L’Italia secondo l’Indice europeo Desi
Nel 2019 l’Italia rimane al quintultimo posto in Europa sul Desi (Digital Economy and Society Index), lontana da paesi a lei simili come Regno Unito, Spagna, Germania e Francia. Le aree di maggior ritardo sono il capitale umano (26° posto), l’uso di Internet (25°) e l’integrazione delle tecnologie digitali (23°), mentre nella connettività (19°) e nei servizi pubblici digitali (18°) si registrano i maggiori progressi.
Stiamo crescendo più velocemente rispetto al resto d’Europa: il nostro punteggio complessivo sul Desi è migliorato di 5 punti (da 38,9 nel 2018 a 43,9 nel 2019), contro i 2,7 punti della media europea. Nessun altro Paese ha registrato una crescita più elevata di quella italiana, ma dobbiamo recuperare forti ritardi.
Per superare i limiti del Desi, l’Osservatorio dell’agenda digitale del Politecnico di Milano ha realizzato i Digital Maturity Indexes, una sistema di indicatori più completo e preciso per misurare la trasformazione digitale, essere meno esposti al mancato aggiornamento di alcuni dati e dare indicazioni utili ai policy maker.
L’Italia è 20esima su 28 paesi europei per sforzi compiuti nell’attuazione della propria Agenda Digitale e 24esima per risultati raggiunti. In particolare, sul primo aspetto, nel 2018 ci sono stati progressi negli ambiti “infrastrutture” (+3 posizioni) e “digitalizzazione della PA” (+2), azzerando il divario con la media europea. Migliora anche “imprese” (+2), anche se non abbastanza per colmare il gap con l’Europa.
Per quanto riguarda i risultati della digitalizzazione nei vari pilastri, miglioriamo le posizioni relative a infrastrutture (23°), digitalizzazione della PA (21°) e cittadini (24°), anche se restiamo sensibilmente sotto la media europea. Il nostro Paese sta iniziando a cogliere alcuni frutti degli investimenti fatti in digitalizzazione, ma serve tempo perché si traducano in risultati concreti. Le aree su cui è più urgente intervenire sono quelle relative all’utilizzo delle tecnologie digitali da parte di imprese e cittadini, perché esiste una forte correlazione fra il benessere di un Paese e la sua maturità digitale.