In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, che si celebra il 22 marzo, è interessante analizzare lo stato delle reti idriche e dei depuratori italiani.
Uno scenario decisamente preoccupante in base a quanto svela uno studio promosso da Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell'acqua, dell'ambiente, dell'energia elettrica e del gas, è decisamente preoccupante. Su 54 gestori dei servizi idrici, presi in considerazione, gli acquedotti sono in gran parte “vecchi”. Le reti presentano infatti un elevato grado di vetustà, tanto che il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani).
Le perdite delle reti acquedottistiche hanno percentuali differenziate: al Nord ci si attesta al 26%, al Centro al 46% e al Sud al 45% .
“La logica in questo settore deve guardare alla qualità del servizio offerto all'utente finale”, ha sottolineato il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti, “questo dipende dalla qualità delle infrastrutture che a sua volta dipende dagli investimenti. Dopo un periodo di forte flessione che ha avuto il suo picco nel 2012, dal 2014 hanno ripreso a partire, almeno un po'. Questo è tanto più vero quanto più i gestori dei vari ambiti sono costituiti a livello industriale ed è tanto meno vero dove le gestioni sono ancora in economia. Nel Paese ce ne sono in oltre 2.000 Comuni. Possiamo essere contenti del fatto che si sia ripartiti, ma non è sufficiente. Servono investimenti per 5 miliardi all’anno, cifra che sarebbe il minimo necessario per coprire il fabbisogno di infrastrutture del nostro Paese. Siamo a meno della metà. Se vogliamo cambiare marcia e modernizzare il settore, credo dovremmo pensare ad un adeguamento graduale della tariffa facendo attenzione a tutelare le fasce deboli della popolazione”.
Di fronte a queste urgenze, gli investimenti programmati nel primo periodo regolatorio (2014-2017), si attestano su un valore medio nazionale di circa 32 euro per abitante all’anno. Se ai 32 euro programmati sulla base delle “tariffe” si aggiunge la quota di contributi e fondi pubblici, si può arrivare a 41 euro/abitante/anno.
Dato ben lontano dagli 80 euro per abitante che sarebbero necessari a coprire un fabbisogno totale di investimenti stimato in circa 5 miliardi all’anno.