La risposta alla domanda che titola il nostro editoriale è certamente un sì. L’automazione distrugge, o meglio elimina, posti di lavoro. E’ inevitabile e soprattutto normale. Se chi si strappa i capelli accusando computer e robot (i soli riferimenti emblematici di chi vede il mondo industriale dal di fuori) allargasse un poco le proprie vedute, ricordandosi che magari ha anche studiato non tanto economia quanto almeno storia, non potrebbe fare a mano di constatare come oggi sia molto difficile trovare un vetturino, lavoro “distrutto” dalla rivoluzione industriale dell’ottocento che ha poi portato alle automobili. Adesso ci sono autisti e taxisti, anche loro probabilmente a rischio, con il prossimo arrivo delle auto che si guidano da sole. Semmai la domanda da porre sarebbe un’altra: cosa stanno facendo coloro che hanno in mano le leve per guidare i cambiamenti socio-economici, per gestire il transitorio verso l’inevitabile? Nelle molte occasioni in cui abbiamo avuto modo di confrontarci su questo tema con le aziende del mondo del manifatturiero, ci è stato sottolineato, tra l’altro, che l’’idea che l’automazione distrugga i posti di lavoro è del tutto superata, oggi è vero il contrario e si deve uscire dal dualismo forza lavoro-automazione. E' un dato di fatto che l'automazione crea posti di lavoro, si sostiene ancora, e le aziende italiane che oggi assumono, sono aziende che in passato hanno avuto il coraggio e la "visione" di una fabbrica competitiva. Ma di quali lavoratori stiamo parlando? Rispetto alla fine del secolo scorso e i primi anni del 2000, sarà difficile per l'occupazione nelle industrie manifatturiere e di processo raggiungere quei livelli poiché la produzione automatizzata di oggi, meno costosa e più efficiente, richiede un minor numero di operatori con competenze avanzate e una migliore istruzione. Quindi, per restare nel manifatturiero i lavoratori devono essere sempre più altamente specializzati, mentre ricerche di settore ci dicono che in paesi come USA e Giappone è in atto una trasformazione della forza lavoro dall’azienda manifatturiera verso i servizi. Si prenda il caso dei robot, che hanno iniziato a sostituire l’uomo in lavori pesanti, ripetitivi e anche pericolosi. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro l’uomo svolge ancora la quasi totalità delle attività, e questo perché, a differenza dei robot, l’uomo vede, sente, comprende e si sa esprimere. Quindi non c’è ancora una competizione esasperata, perché i robot non hanno ancora le necessarie capacità sensoriali e cognitive, ma le cose stanno cambiando e non è escluso che l’automazione, in particolare proprio la robotica, abbia ulteriore sviluppo nel sostituire l’intervento umano anche in settori non industriali. Schematicamente si potrebbe dire che in questa prima fase le “macchine” subentrano all’uomo in lavori centrati sulla “fatica”, e in una seconda fase subentreranno anche in lavori centrati su facoltà cognitive. Nessuno, a oggi, ha tutte le risposte, ma non si può certo chiudere la porta alla tecnologia perché dell’automazione non si può proprio più fare a meno. Tempo fa un dirigente di una multinazionale dell’elettronica ebbe a dire: è inevitabile il passaggio da uomo “faber” a uomo “cogitans”, da lavori con le mani a lavori con la testa. Ha avuto torto solo per una visione ristretta della questione, perché se questo è valido nel manifatturiero, vi sono poi infiniti ambiti dove le macchine nulla possono: difficile un robot giardiniere o una soluzione di automazione con prestazioni da chef di alta cucina. Comunque è indubbio che si debba parlare di capacità intellettive, di istruzione, e da qui la domanda: cosa sta facendo la scuola, in senso lato, per adeguare le competenze delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi al mondo che si troveranno quando si porranno sul mercato? Non si intravede capacità alcuna di previsione dei nuovi prossimi scenari del mondo del lavoro, ma anche nessun interesse, stante l’esasperata autoreferenzialità delle strutture. Quindi, sono sostanzialmente fatti dei nostri figli, e ovviamente anche nostri.
Aldo Cavalcoli