Le grandi aziende continuano a spingere sull’acceleratore digitale e le previsioni sono del +4,2% nel 2022, con segno positivo anche per le pmi. Anno record per l’ecosistema delle startup hi-tech che hanno ricevuto una iniezione di risorse che, per la prima volta nel 2021, supera il miliardo di euro, soprattutto da fondi pubblici e dalla ripresa degli investimenti stranieri.
La pandemia ha fatto scoprire il valore strategico della digitalizzazione di processi, prodotti e servizi, che continuerà nel 2022 con un +4,2% trainato dalle grandi (4,9%) e grandissime imprese (4,3%) e con un segno positivo anche nelle pmi (3,3% le piccole, 2,8% le medie).
Le grandi hanno accelerato i progetti di digitalizzazione anche durante la pandemia (66%), mentre ha schiacciato sull’acceleratore solo il 26% delle pmi, che per il 60% hanno mantenuto invariato il budget e per il 14% l’hanno ridotto.
Tra le grandi, invece, solo il 27% non ha aumentato il budget e solo il 7% l’ha ridotto. Sono alcuni dei principali risultati degli Osservatori Startup Intelligence, Startup Hi-tech e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano, presentati in occasione del convegno “Startup e imprese nella trasformazione digitale: Open Innovation per accelerare la ripresa”.
Nel complesso, otto aziende su dieci hanno sentito l’urgenza di digitalizzare processi e prodotti, con più coinvolgimento da parte dei vertici e una maggiore collaborazione tra funzioni diverse. Ma cosa resterà di questa esperienza di emergenza, cosa si consoliderà e cosa arretrerà?
Di quelle otto aziende due faranno marcia indietro (si passerà dal 78% al 61%), anche il commitment del management calerà (dal 68% a al 57%) e così pure la collaborazione tra colleghi (dal 63% al 53%). «Non trascuriamo questi segnali. La digitalizzazione, che ha dimostrato la sua utilità in questi mesi difficili, deve continuare nel piano di sviluppo del sistema manifatturiero», raccomanda Stefano Mainetti, responsabile scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence.
Cybersecurity, Big Data e Industria 4.0
La priorità di investimento per il prossimo anno è per tutte le dimensioni aziendali la cybersecurity, avendo sempre più dati e macchine in rete. Seguono Big Data e Analytics, Erp, Crm e Cloud nelle grandi, con in crescita Erp e Cloud, mentre scendono e-commerce e smart working.
Nelle pmi, invece, alla cybersecurity seguono Industria 4.0 (in crescita), Cloud, Crm e Digital Marketing (in crescita), mentre cala anche qui lo smart working e i temi della logistica. Oltre al budget Ict, per il 59% esiste un budget esterno, in particolare nel Marketing, Digital e Business Development (75%), nella Ricerca e Sviluppo e Direzione tecnica (37%) e nella Direzione Innovazione (37%), con budget generalmente inferiori a quello dell’Ict.
Le maggiori fonti di stimolo a proseguire l’innovazione digitale verranno per le grandi dal top management (41%), dalle funzioni interne (39%), dai clienti (31%), dalle università e centri di ricerca e startup (a pari merito al 29%), mentre nelle startup lo stimolo principale arriva dai clienti stessi (59%), da aziende consolidate (36%), da altre startup pari merito con Università e ricerca (35%) e finanziatori (31%).
I principali ostacoli alla spinta digitale
Gli elementi critici per la gestione e lo sviluppo di innovazione digitale vengono rinvenuti nella mancanza di supporto da parte delle istituzioni (42%), dalla carenza di tempo (38%), dalle scarse competenze (37%) e dalla carenza di risorse economiche (36%).
«Va ammesso che persiste ancora molta disinformazione sulle misure messe a disposizione delle istituzioni. Per esempio, il 40% degli intervistati non è a conoscenza del voucher consulenza in innovazione», commenta Mariano Corso, responsabile scientifico Osservatorio Digital Transformation Academy. Il 40% non è a conoscenza, il 53% non è interessato e solo il 7% l’ha utilizzato, di cui solo l’1% in risposta alla pandemia.
Da un punto di vista organizzativo, poi, nonostante la maggiore presenza negli ultimi anni di una Direzione Innovazione con tanto di Innovation Manager nelle grandi aziende (dal 31% nel 2019 al 38% del 2020 al 39% nel 2021), i principali ostacoli allo sviluppo di progetti digitali-innovativi sono la mancanza di integrazione con la strategia aziendale (61%), l’engagement della popolazione aziendale (45%), l’integrazione con il business (42%) e la gestione dell’ecosistema esterno (35%).
Le principali azioni per incoraggiare e diffondere un approccio innovativo all’interno sono la partecipazione a iniziative di innovazione, lo sviluppo di competenze digitali e imprenditoriali, la condivisione di esperienze, relazioni con attori esterni, pensiero creativo, spazio e tempo per progetti di innovazione e accettare il fallimento.
Sta crescendo negli anni anche la misurazione degli effetti dei progetti di innovazione. In particolare, si misurano i risultati di business, le risorse impiegate e le fasi operative dei progetti, ma si ritengono importanti anche altri indicatori ancora poco esplorati, come la crescita del know-how di business e l’arricchimento culturale. Nel 2021 il 10% risulta avere un sistema consolidato, i 29% deve consolidare le metriche, il 37% ce l’ha in programma e il 24% non lo possiede ancora.
Open Innovation, un modello di successo
Valorizza l’ecosistema digitale l’81% delle grandi imprese: in particolare tre su quattro collaborano con startup (il 49% sta collaborando, il 22% ha in programma di farlo e il 9% l’ha fatto come esperienza ma non la ripeterà), mentre fa Open Innovation il 42% delle pmi (la metà delle grandi aziende) e collabora con le startup solo una su quattro (il 7% sta collaborando, il 2% l’ha fatto ma non lo farà più e il 18% ha intenzione di iniziare), pur essendo già abituate a lavorare in rete.
Situazione diversa per le startup innovative, che portano innovazione nel tessuto produttivo e vivono di collaborazioni: ben l’83% ha in corso progetti di sviluppo, di cui il 61% con università e centri di ricerca sia con tesisti, con analisi e ricerche, collaborando con altre aziende e con test di laboratorio.
Anno record per le startup: investimenti oltre il miliardo di euro
Il 2021 è stato il primo anno in cui l’ecosistema delle startup ha superato il miliardo di euro di investimenti, passando da 669 milioni di euro nel 2020 a 1.471 nel 2021, con una crescita annua senza precedenti (+118%), superiore al balzo tra il 2017 (331 milioni di euro) e il 2018 (593 milioni di euro).
Questi i risultati emersi dall’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con InnovUp - Italian Innovation & Startup Ecosystem, giunto alla sua nona edizione.
I finanziamenti provenienti da attori formali (fondi di Venture Capital indipendenti, fondi di Corporate Venture Capital aziendali e il Governmental Venture Capital o Finanziarie Regionali) continuano a guidare l’intero ecosistema con una importante crescita di circa il 96%, passando dai 294 milioni di euro del 2020 ai 576 milioni del 2021, ma a trainare sono i fondi pubblici, perché gli investimenti Corporate arrivano al 15%.
«Sembra esserci stato un effetto pressoché immediato a seguito delle diverse misure messe in atto a livello istituzionale, testimoniate dalla recente iniezione di ulteriori 2 miliardi al Fondo Nazionale Innovazione, che si vanno ad aggiungere agli 1,3 miliardi già allocati in passato e che bene hanno sostenuto l’ecosistema», commenta Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio Startup Hi-Tech.
I finanziamenti da attori informali (Venture Incubator, Family Office, Club Deal, Angel Network, Independent Business Angel, piattaforme di Equity Crowdfunding e aziende non dotate di fondo strutturato di CVC), seconda componente che determina il valore complessivo, registrano a loro volta una crescita superiore al 92%, passando dai 245 milioni di euro del 2020 ai 449 del 2021.
Tale incremento rispecchia il trend di crescita dell’ecosistema e conferma la forte rilevanza del comparto informale per il tessuto imprenditoriale italiano, giocando anch’esso un ruolo di guida al fianco del comparto formale nella ripresa dell’ecosistema. Anche il segmento dell’Equity Crowdfunding continua la sua crescita, passando dai 101 milioni di consuntivo 2020 ai 130 milioni di euro di preconsuntivo 2021 (+28%).
La terza ed ultima componente, quella dei finanziamenti internazionali, passa da circa 130 milioni di euro del 2020 agli oltre 435 milioni di quest’anno, portando così il comparto, che lo scorso anno aveva registrato una forte contrazione, a un valore più che triplicato e torna a costituire circa un terzo dell’intero ecosistema come nel 2019.
Di fatto, rispetto a ecosistemi più maturi l’Italia è riuscita a ridurre il gap esistente, ma ha ancora una dimensione relativa che è circa un ottavo di quello francese, un sesto di quello tedesco e tre quinti di quello spagnolo.
I capitali attratti dall’ecosistema startup hi-tech provengono prevalentemente dagli Stati Uniti (74%), seguiti dall’Europa (25%), per oltre la metà dal Benelux, e in minore misura dall’Asia (0,43%). Dei 193 round di finanziamento registrati nel 2021, 115 (pari al 60%) risultano essere “primi round”, vale a dire il primo investimento in assoluto per la startup. Questo valore risulta in perfetta linea con quello registrato lo scorso anno, quando i primi round erano stati 94 (pari al 55% dei round 2020).
Il taglio medio degli investimenti in primo round è passato da 4,7 milioni del 2020 ai 4 milioni del 2021, registrando un lieve calo. La forte crescita di quest’anno è quindi spiegata maggiormente dalla tendenza degli investimenti raccolti nei round successivi: nel 2021 infatti, questi ultimi registrano una media per singolo round di 12 milioni di euro, contro i 9 milioni del 2020.
Inoltre, a conferma della crescita e consolidamento dell’ecosistema, nel 2021 ci sono stati per la prima volta 26 exit (cessione delle quote da parte dei finanziatori e soci fondatori con guadagno) rispetto alla ventina precedente.