Lo sviluppo delle soft skill era già all’attenzione delle aziende prima della pandemia per affrontare il cambiamento digitale in corso, con la diffusione di nuovi modelli di business e di distribuzione globale. A maggior ragione oggi, che dobbiamo diventare tutti più digitali sia nell’uso degli strumenti, sia nel modo di relazionarci con i team di lavoro, i capi, i collaboratori, i clienti e i fornitori, sof
La ricerca commissionata dalla Provincia Autonoma di Trento al Crisp - Università degli Studi di Milano-Bicocca ha indagato il legame fra le “non cognitive skill”, dette anche “character skill” o più comunemente soft skill, e interventi educativi mirati e finalizzati al loro potenziamento negli studenti.
Ciò che è emerso, di estendibile anche alla formazione continua degli adulti, è che la maggior presenza di soft skill già in fase di crescita e formazione della personalità dei giovani ne potenzia anche i risultati cognitivi.
È come se le competenze comportamentali facessero da substrato alle nostre attività operative e cognitive, le quali presentano una forte componente trasformativa da gestire oggi più che mai. È ormai noto che nei prossimi anni un terzo delle competenze richieste sarà legato ad abilità che oggi sono ritenute ancora marginali e che ancora non esiste oltre la metà dei lavori che saranno svolti tra vent’anni, mentre l’altra metà sarà automatizzata.
Le professioni del futuro richiederanno competenze trasversali, come la capacità di risolvere problemi o conflitti, di collaborare e lavorare in gruppo, di comunicare in modo efficace, di resistere ai fattori ambientali come stress e, magari, a un cattivo ambiente di lavoro. Serviranno non solo per acquisire con più facilità nuove technicality, ma proprio per gestire forme di lavoro nuove, più creative, di supervisione e gestione, che non puramente operative.
Il tema è stato presentato nell’incontro “Non cognitive skill: la ‘materia oscura’ che muove lo sviluppo”, con il contributo di Nestlé e Accenture, durante la VET Week di novembre, la Settimana Europea della Formazione Professionale.
«La situazione che stiamo vivendo ha già cambiato radicalmente il modo di lavorare di tutti noi. La presenza fisica negli uffici si ridurrà inevitabilmente e questo porterà a un ripensamento delle modalità lavorative a cui eravamo abituati. L’ufficio non sarà più un posto in cui svolgere il proprio lavoro, ma soprattutto un luogo in cui ricevere competenze sempre meno tecniche.
Il tema delle soft skill è sempre più importante per il mondo del lavoro: è impensabile non avere qualità come la capacità di relazionarsi con l’altro in maniera costruttiva, di saper ascoltare e lavorare in gruppo, di affrontare razionalmente le criticità o di adattarsi al cambiamento. Molto è in mano alla scuola, ma credo che noi di Nestlé, così come altre aziende, abbiamo un ruolo ugualmente importante nella crescita umana e professionale dei nostri collaboratori», commenta Marco Travaglia, presidente e amministratore Gruppo Nestlé Italia e Malta.
La tenuta socio-emozionale migliora anche i risultati
La capacità di adattamento all’ambiente appare già nei primissimi anni di vita, condizionano l’apprendimento e le abilità lavorative e vanno quindi sviluppate e accompagnate perché siano di supporto a stili di vita e di lavoro in profonda trasformazione. La ricerca svolta ha evidenziato proprio il nesso fra “non cognitive skill” e “cognitive skill” negli studenti.
Sulla tenuta e stabilità interiore (coscienziosità e apertura all’esperienza), all’incremento di un punto nel punteggio fattoriale è corrisposto un aumento di 12 punti sul voto Invalsi; all’incremento di un punto della stabilità emotiva corrisponde un aumento di 3 volte sul voto Invalsi. Di contro, all’incremento di un punto del “locus of control” (non sentirsi responsabili dei propri risultati) corrisponde un peggioramento di 5 volte sul voto Invalsi.
Anche alcune variabili del capitale sociale hanno chiari effetti sui risultati scolastici: leggere un libro produce un incremento di 3 punti del voto Invalsi; fare i compiti porta a un incremento di 2 punti, mentre il background socio-economico familiare può determinare un’oscillazione di due punti sui risultati del test.
Infine, una impostazione didattica che stimoli l’iniziativa e la creatività può portare a un incremento fino a 4 punti ed è stato dimostrato che programmi educativi ad hoc per migliorare le “non cognitive skill”abbiano effetti su stabilità emotiva e relazionale, nonché su ottimismo e autoefficacia.
Imparare a imparare, anche da adulti
«Lo sviluppo della personalità dei giovani, attraverso l’apprendimento, il sapere e il sapere agire, è lo scopo della scuola ed è la miglior risposta a qualunque trasformazione del mondo economico, produttivo e sociale. La velocità dei cambiamenti, unita alla difficile congiuntura, metterà sempre più al centro la capacità di “imparare a imparare”. Le qualità legate alla personalità sono e saranno una parte decisiva, Per questo, l’indagine sulle “character skills” fornisce una indicazione chiara che insegnare le sole nozioni non basta a introdurre alla conoscenza e alla competenza, ma occorre la riscoperta di persone, relazioni, valori, per affrontare con vigore, intelligenza ed entusiasmo il cambiamento imposto dalle circostanze in cui viviamo», spiega Giorgio Vittadini, coordinatore della ricerca, Presidente di Fondazione per la Sussidiarietà e professore di statistica alla Università Bicocca di Milano.
Il binomio vincente tra tecnologia e ingegno
Più diventiamo digitali e più emerge la necessità di attivare la capacità umana di dare unità di senso e direzione a quello che si fa, con consapevolezza e agilità mentale.
«Il momento storico che stiamo vivendo ha confermato la centralità del capitale umano come elemento capace di garantire, insieme alla tecnologia, la tenuta del nostro Paese. Noi crediamo e investiamo da sempre nel connubio tra tecnologia e ingegno umano, valorizzando creatività, curiosità, empatia, agilità, ascolto, inclusione, “non cognitive skill” ancora più preziose oggi in cui il virtuale predomina sul fisico.
Nel nostro ecosistema stiamo infatti promuovendo un modello di lavoro basato su collaborazione e co-creazione, job rotation, ricerca di competenze diversificate, contaminazione costante con realtà distanti dal nostro core business, come volano per lo sviluppo di queste abilità soft», conclude Fabio Benasso, presidente e ad Accenture Italia.