Un corso sperimentale sugli impatti giuridici dell’emergenza sanitaria è al centro dell’esame Law for engineering, progettato in tempi non sospetti per gli studenti di ingegneria gestionale alla Liuc-Università Cattaneo di Castellanza. Anche noi abbiamo rivolto 6 domande “calde” alla giurista Elena Falletti, ricercatrice di diritto privato comparato alla Liuc.
All’Università Liuc di Castellanza i futuri ingegneri gestionali affrontano i temi giuridici emersi in questo mese di emergenza sanitaria nel corso Law for Engineering della Laurea magistrale in Ingegneria gestionale. Salute pubblica, supply chain, mercato del lavoro, restrizione dei trasporti pubblici, diffusione di fake news, limitazione delle libertà individuali sono tutti temi interconnessi, che Elena Falletti, ricercatrice di diritto privato comparato alla Liuc, sta affrontando in classe con i futuri professionisti.
Si tratta di un corso sperimentale e una sfida per tutti. Sperimentale, perché non si può fare riferimento ad esperienze analoghe, perché la situazione è in continua evoluzione e perché l’approccio è multidisciplinare.
«Vogliamo fare emergere la necessità del metodo multidisciplinare, evidenziando l’intreccio tra la prospettiva giuridica, che è la mia, e quella ingegneristica degli studenti. Ho chiesto loro di ragionare su soluzioni ingegneristiche da attuare rispetto ai problemi, anche giuridici, che questa emergenza porta con sé», spiega la Falletti. Ed è una sfida, perché vuole fornire una preparazione di base su alcuni elementi di diritto a studenti abituati a misurarsi con altre discipline e linguaggi.
«Già prima dell’avvio delle lezioni, con l’avvento del coronavirus in Cina, ho adattato il programma perché potessimo parlare anche delle norme che si stavano adottando in quella circostanza straordinaria. Può succedere che la realtà superi i programmi d’esame», commenta la giurista. Ci siamo rivolti anche noi a Elena Falletti per fare un po’ di chiarezza su quanto sta accadendo a livello individuale, sociale e nel mondo del lavoro da una prospettiva giuridica.
1. Quali sono i punti caldi da un punto di vista giuridico?
I punti caldi che possono cambiare il nostro mondo come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi sono principalmente due: la fiducia e la sorveglianza. La fiducia come concetto generale parte dalla fiducia dei cittadini verso i loro pari, perché se inizia a mancare è difficile coesistere in una società organizzata. Quindi la fiducia dei cittadini nel loro complesso, come società, nei confronti di chi sta gestendo la crisi. Se iniziamo a pensare che le misure siano inutili, stupide o non funzionino, non potranno mai essere efficaci perché, non credendoci, non verranno messe in pratica. Ed è assai difficile coercire milioni di persone, come nella situazione che stiamo vivendo. Infine esiste una forma differente di fiducia, quella tra Stati, che è il presupposto della cooperazione, importantissima in questo momento. I virus non hanno bisogno di passaporti per muoversi, quindi la risposta dovrebbe essere coerente e coordinata, almeno nelle aree geografiche più vicine, soprattutto nell’Unione Europea, ma non solo, per avere risposte efficaci ed evitare i contagi di ritorno.
L’altro punto cruciale è la sorveglianza. La gravità dell’attuale epidemia giustifica misure estreme di controllo. La nostra Costituzione prevede una simile possibilità all’articolo 16, quando si verifichino situazioni di pericolo per la sanità e la sicurezza pubbliche, purché si tratti di misure temporanee. Molti auspicano che venga adottato il modello coreano di tracciabilità individuale, applicato soprattutto nei confronti dei soggetti positivi al virus affinché si possa tracciare e quindi bloccare il contagio. È vero che stiamo vivendo una situazione di emergenza, tuttavia, una volta terminata l’emergenza, rimarrà l’idea di un sistema di monitoraggio continuo della popolazione per segnali biometrici, ovviamente giustificato per prevenire future epidemie. Tuttavia, come ha osservato lo storico Yuval Harari, si tratta di una circostanza che può anche costituire le basi per un regime totalitario estremo, una fusione tra il baratto hobbesiano della sicurezza collettiva con la libertà individuale e i romanzi distopici orwelliani.
2. Dopo tre settimane è arrivato un protocollo d’intesa tra le parti sociali e il governo su salute e sicurezza in fabbrica e dopo un mese, il 22 marzo, si è decisa la sospensione di tutte le attività produttive non considerate essenziali o strategiche. A cosa vanno incontro gli imprenditori delle attività, pur essenziali o strategiche, che ignorano le condizioni di salute e sicurezza indicate dal protocollo, provocando anche scioperi?
La situazione è in continua evoluzione, ma vorrei fare alcune riflessioni. Il fatto che le parti sociali si siano incontrate e abbiano trovato un accordo per continuare le attività è davvero positivo, significa che le parti coinvolte (e i singoli che esse rappresentano) sono disponibili a continuare a fidarsi le une delle altre, e torniamo al tema della fiducia. Si tratta di un discorso pre-giuridico. Il diritto, la regolamentazione giuridica e le sue sanzioni subentrano quando questo patto sociale si rompe, in modo da evitare quella che si definisce “giustizia sommaria”, condizione pericolosa per la stabilità sociale. In una situazione come questa le risposte del diritto non sono sempre immediate e applicabili: ci vuole tempo per stabilire ciò che è effettivamente accaduto (ad esempio delle indagini), stabilire chi ha torto o ragione, oppure chi ha fatto cosa (processo) e poi la decisione finale (sentenza). Si comprende bene che in un contesto di emergenza come questo, l’elemento più importante è la collaborazione nel rispetto dell’altro. Non è un concetto banale, è la base della sopravvivenza della società nel suo complesso e dei singoli stessi. Il protocollo è importante perché serve a stabilire un patto di fiducia, ma il patto va rispettato da tutte le parti, indipendentemente dalle sanzioni. É una questione di rispetto per l’altro, di empatia, di capacità di mettersi nei panni di chi ci sta di fronte.
3. Quali sono le priorità su cui si devono concentrare gli imprenditori ora per tenere insieme sicurezza e sanità e continuità del business? La tutela della sicurezza e sanità sta vincendo sul diritto costituzionale di fare libera impresa. Ci sono molte discussioni in corso…
La Costituzione protegge tanto il diritto alla salute dei singoli e della società (sanità pubblica), quanto alla libertà economica (l’esercizio dell’impresa). La prospettiva da valorizzare, secondo me, non è quella di mettere in competizione i due diritti. Non si va molto lontano, se viene a mancare il tessuto economico in quanto i consociati necessitano di un lavoro per vivere e realizzare i propri desideri. Tuttavia il tessuto economico ha bisogno degli individui sia in qualità di lavoratori impiegati nel processo produttivo, sia in qualità di consumatori dei beni prodotti dal tessuto economico. In una società complessa come la nostra non esistono l’uno senza l’altro, quindi occorre cooperare, collaborare per trovare soluzioni idonee a salvaguardare le ragioni della salute e quelle dell’economia.
4. Lo smart working è stato concesso d’urgenza a tutti i dipendenti dove possibile, pubblici e privati, secondo lei cosa ne sarà di questo modello di lavoro a conclusione dell’emergenza?
Nessuno ha la sfera di cristallo per sapere cosa resterà del ricorso massiccio al lavoro da remoto implementato oggi. Ci possono essere dei problemi oggettivi, come il sovraccarico della rete, ma secondo me il punto dovrebbe essere decidere cosa implementare da questa esperienza, o meglio quali sono i fattori positivi che possono essere mantenuti a vantaggio di tutte le parti: imprese, lavoratori e anche le loro famiglie, visto che il lavoro da remoto si svolge generalmente nell’ambiente domestico. Questo è il punto da cui partire, a mio parere, anche a norme vigenti: riuscire ad adattare questa fattispecie in ciascuna realtà imprenditoriale al fine di migliorare la qualità lavorativa e anche la vita familiare. Questo a mio modesto avviso è uno dei punti sui quali non si potrà tornare indietro, una volta tornati in una situazione di normalità. Abbiamo visto che è possibile, bisogna capire come renderlo abituale.
5. Qual è l’inghippo giuridico per cui non si può vietare del tutto di uscire? Tutti si lamentano della non chiarezza del limite di movimento concesso. Quali sono i limiti oltre cui i provvedimenti non possono andare?
In effetti siamo alle prese con una situazione molto delicata e complessa perché riguarda la regolamentazione, e quindi la gestione delle vite delle persone sia nelle loro attività individuali (andare a correre, portare a spasso il cane), sia collettive o di gruppo (lavoro, vita sociale). Secondo me bisognerebbe cambiare prospettiva: date le circostanze occorrerebbe ragionare “bottom up”, cioè ciascun singolo dovrebbe rendersi conto di cosa può fare, o meglio astenersi dal fare, per ottenere lo scopo di rallentare il contagio affinché il sistema sanitario possa essere alleggerito e tutti i malati, se “scaglionati” nel tempo, possano avere la possibilità di curarsi e guarire. È una questione di responsabilità individuale verso gli altri, legata al rispetto verso la comunità nel suo complesso. Può sembrare illusorio, ma secondo me è l’unico modo per vedere degli effetti in tempi relativamente brevi. Le imposizioni delle autorità, le norme giuridiche sono indubbiamente utili, ma l’utilizzo dello strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri va nel senso di indicare un comportamento opportuno al fine del raggiungimento del risultato summenzionato. Una indicazione quasi paternalista, forse, il cui enforcement attraverso l’art. 650 c.p. è alquanto debole, perché l’infrazione di massa della norma ha quale effetto la paralisi dell’organo giudiziario e quindi ci ritroveremo di fronte all’efficacia delle note “grida manzoniane”.
6. Quali sono i rischi giuridici e politici di una effettiva limitazione della libertà individuale? Quali i rischi di leggi in stato d’emergenza? Che tutele costituzionali abbiano?
In questo momento l’urgenza costituzionale più importante nel nostro Paese è il ristabilimento dell’ordinaria attività parlamentare. Tocca al Parlamento, secondo Costituzione, convertire gli importantissimi decreti legge emanati dal governo in questa fase emergenziale relativi a tutti i provvedimenti di natura economica. Infatti, il Parlamento sta soffrendo una sorta di esautoramento della sua attività legislativa, principalmente per la difficoltà di riunirsi alla luce delle prescrizioni sanitarie volte a prevenire il contagio, in particolare la distanza minima di un metro tra una persona e l’altra. A questo proposito si potrebbero estendere anche al Parlamento di riunirsi in forma telematica. In via teorica sarebbe possibile, l’articolo 64 della Costituzione consente a entrambe le Camere di disciplinare autonomamente la propria attività anche in circostanze eccezionali, anche in via telematica. Nella stessa direzione si sta indirizzando il Parlamento Europeo che nella prima seduta plenaria in calendario, il 26 marzo, voterà le misure d’emergenza di contrasto al Covid-19 attraverso un sistema di voto a distanza. La forma dello strumento giuridico utilizzato per fronteggiare l’emergenza è importante e legittima l’impalcatura organizzativa che, per motivi di tutela della salute pubblica, impone misure restrittive assai invasive alla libertà di movimento delle persone. Questo è davvero un elemento distintivo e importante, perché quando si tratta di diritti e garanzie democratiche la forma è sostanza.