Che forma sta prendendo lo Smart Working in Italia, ora che si è conclusa la proroga che dava diritto all’accesso semplificato a lavoratori fragili e genitori?
Dopo il picco dei 6,5 milioni di lavoratori nel 2020 per assicurare salute pubblica e continuità dei servizi, c’è stato un progressivo ritorno in ufficio. Oggi il numero di lavoratori coinvolti in Italia, con modalità e tempi diversi, si attesta sui 3,5 milioni.
La grande azienda consente una media di 9 giorni al mese di lavoro a distanza, la Pmi 6,6 e la pubblica amministrazione 7. Soprattutto nella PA c’è stata la massiccia ripresa delle attività in ufficio, regolate da decreto con vincolo di prevalenza della prestazione in presenza. Oggi sono 500mila i lavoratori pubblici con attività ibride, contro il milione e 850mila del periodo pandemico.
Solo nelle grandi aziende, dove gli oltre 2 milioni di lavoratori durante la pandemia sono scesi a un milione 770mila nel 2021, il numero ha poi ripreso a crescere e oggi sono 1 milione e 910mila. Anche nelle Pmi c’è una leggera flessione, ma restano sopra i 500mila. Per il 2025 si stima comunque un aumento complessivo del 5%.
Quanto è davvero strategico il lavoro agile in Italia?
Quanto evolve lo Smart working come strumento organizzativo “win-win”, basato su autonomia e responsabilità, in una logica strategica di produttività e benessere? Quanto viene invece vissuto solo come un diritto, o uno strumento tattico per rispondere a esigenze particolari, anche temporanee, dei singoli lavoratori? L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, giunto alla XXII edizione, ne ha indagato lo stato dell’arte e le possibili linee di sviluppo.
Quello che emerge dall’ultima indagine dell’Osservatorio Polimi è che il 90% delle grandi aziende ha adottato e mantenuto questa modalità di lavoro, che gestisce in modo strutturato. Ha infatti sviluppato delle politiche/azioni di accompagnamento al cambiamento, che agiscono su flessibilità oraria (90%), cultura e comportamenti (81%) e rinnovo degli spazi lavorativi (79%).
L’azione su cultura e cambiamenti riguarda linee guida sulle quali attività sia meglio svolgere in presenza e quali da remoto; eventi extra-lavorativi per creare gruppo; definizione di obiettivi comuni per la presenza in azienda e regole per l’accesso all’ufficio. Le Pmi prediligono invece la versione informale dello Smart Working (40% dei casi), strutturata solo nel 13% e incentrata sulla flessibilità d’orario per oltre una su due. Nella PA, invece, ha supportato il lavoro ibrido in modo strutturato una realtà su due, con attenzione alla flessibilità oraria (92%), cultura e comportamenti (83%) e rinnovo degli spazi (56%).
I manager Smart spingono il valore trasformativo
Nelle grandi imprese un manager su tre è Smart. Coglie il valore trasformativo dello Smart Working e l’impatto positivo su engagement e produttività, che dichiara essere aumentata. Quindi lo incoraggia, favorendo autonomia e responsabilità nei collaboratori. Nelle Pmi invece solo l’8% dei manager è proattivo e permane lo scetticismo tra i collaboratori (42%). In pratica, si usa il lavoro agile solo per necessità particolari, a livello tattico. Infine, nella PA è Smart un manager su 5.
Tuttavia, nell’ipotesi che si imponesse il totale rientro in ufficio, il 73% degli attuali Smart worker sarebbe pronto a opporsi, a meno di una compensazione in maggiore flessibilità oraria, o con il 20% in più di stipendio.
Nuove vie e l’aiuto della GenAI
Ad oggi sperimentazioni sulla settimana corta sono presenti in un’azienda su 10. La GenAI sta dimostrando, nei primi casi come quello di SACE, di aiutare a liberare tempo per attività a maggiore valore, conciliando settimana corta con aumento di produttività.
Un’altra modalità emergente è l’International Smart Working, utilizzato dal 29% delle grandi imprese per attrarre talenti residenti all’estero.