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La Direttiva europea Corporate Sustainability Due Diligence è Legge

La nuova Direttiva Corporate Sustainability Due Diligence modifica lo scenario europeo, coinvolgendo le controllate e l’intera filiera, con un indubbia accelerazione nella realizzazione degli obiettivi di sostenibilità. Alle aziende si chiede proattività e collaborazione, per il bene comune.

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Marianna Capasso

Dopo un iter durato quasi quattro anni, il 5 luglio 2024 la Direttiva Corporate Sustainability Due Diligence è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale europea. In vigore dal 25 luglio 2024, la nuova Legge rappresenta quel tassello vuoto di un importante puzzle strategico, necessario per completare l’apparato cogente di Bruxelles.

Le numerose normative finanziarie, connesse al tema della sostenibilità, apparivano sempre carenti di qualcosa. Dagli standard ESRS, al regolamento SFDR sull’informativa di sostenibilità dei servizi finanziari, per arrivare fino alla Direttiva CSRD sull’obbligo di comunicazione non finanziaria, tramite la redazione di un Bilancio di sostenibilità.

Mancava all’appello una vera e propria rendicontazione sul rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. Ora, invece, l’Unione europea può vantare un nuovo importante strumento legislativo, sebbene serviranno ancora dai tre ai cinque anni per una completa applicazione, funzionalmente alla grandezza e al fatturato dell’impresa.

Il concetto di sostenibilità: ESG (Environmental, Social e Governance)

Ma partiamo dall’inizio. Quando parliamo di sostenibilità automaticamente il pensiero si connette agli aspetti “green”. Ma non è così. La sostenibilità, ormai lo sappiamo tutti, è trina e si riferisce ad ambiente, governance e fattore sociale. Da cui, appunto, l’acronimo ESG. Un’azienda è “sostenibile” se risponde ai famosi tre diktat chiave.

Se, cioè, tiene comportamenti in linea con il rispetto dell’ambiente (Environmental). Se ha un positivo impatto sociale (Social) nel rapporto con territorio, dipendenti e persone. E se rientra nell’ambito della gestione societaria basata sulle buone pratiche e sui principi etici. La cosiddetta Governance, un concetto che racchiude questioni afferenti a retribuzioni, trasparenza delle decisioni, tutela delle minoranze e diritti degli stakeholder.

L’utilizzo della finanza

Con l’Accordo di Parigi e con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 (anno 2015), l’UE si è inizialmente concentrata sulla realizzazione degli obiettivi climatici, ma non solo. Tuttavia, per entrare nel mood della sostenibilità a 360 gradi, ha deciso di utilizzare lo strumento della finanza.

Ha in primis varato, nel 2028, l’Action Plan sulla finanza sostenibile, con l’obiettivo di migliorare la qualità della rendicontazione non finanziaria delle imprese. Successivamente, sempre nell’ambito dell’Action Plan, tra ottobre 2020 e febbraio 2021 la Commissione ha avviato una consultazione pubblica sulla Corporate governance sostenibile.

Le tappe per una corporate governance sostenibile

Sebbene esistessero già altri strumenti normativi – pensiamo alla Direttiva 2014/95/UE (la NFRD, Non Financial Reporting Directive), o alla successiva Corporate Sustainaibility Reporting Directive (CSRD) per la sostenibilità dell’attività d’impresa – Bruxelles è andata oltre.

Ha deciso di impattare in maniera più incisiva sui comportamenti delle aziende. Questo, affinché le stesse orientassero le proprie attività concentrandosi non solo sui risultati finanziari a breve termine ma anche su obiettivi capaci di creare valore nel tempo. Si rendeva, cioè, necessario predisporre una due diligence lungo la catena del valore, con specifici obblighi per gli amministratori.

Così, il 23 febbraio 2022 la Commissione ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. Il 1° dicembre 2022 il Consiglio ha pubblicato un orientamento generale. Il 1° giugno 2023 il Parlamento ha adottato il documento, apportando alcune modifiche.

Ma solo il 14 dicembre 2023 l’organo esecutivo e quello legislativo hanno raggiunto un accordo provvisorio. Formalizzatosi poi il 15 marzo 2024, con ulteriori modifiche. Infine, la definitiva ufficializzazione il 5 luglio 2024 e la successiva entrata in vigore 20 giorni dopo.

L’uomo e l’ambiente al centro della Direttiva Corporate Sustainability Due Diligence

Un comportamento aziendale sostenibile e responsabile, con il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. E nuove regole che normano le azioni, con obblighi e sanzioni, sia all’interno delle realtà aziendale che lungo la catena del valore. La Direttiva si concentra su questi punti. Ma va oltre, geograficamente, estendendo le prescrizioni anche al di fuori del territorio UE. D’altronde, numerose aziende europee sono legate a dipendenti dislocati nell’intero sistema globale.

Andranno quindi affrontati i possibili impatti negativi sui diritti di questi ultimi. Con l’Europa che farà da garante della tutela extra territoriale, ambientale e non, imponendo il rispetto dei principi ESG. Il tutto, con un vantaggio diretto anche per i Paesi in via di Sviluppo. Finalmente sarà possibile superare la frammentazione negli obblighi di diligenza, con la creazione di un diritto unico. E maggiori garanzie per tutti.

Il nuovo quadro giuridico, armonizzato, offrirà certezze e parità di condizioni, fidelizzando clienti e dipendenti. Questo perché, secondo uno studio dell’UE, le aziende sostenibili mostrerebbero il 10% in più di redditività rispetto alla media. Il fattore reputazionale, infatti, fa da pubblicità. E, sempre secondo lo studio, una corretta strategia in tema di responsabilità sociale offre maggiori risultati rispetto ad una focalizzata sulla competitività. Lo dicono i risultati.

I destinatari della Direttiva Corporate Sustainability Due Diligence

Per la definizione dei destinatari, il processo è stato particolarmente complesso. Inizialmente erano stati individuati due gruppi di imprese europee. Un primo rappresentato dalle società con più di 500 dipendenti e un fatturato netto di oltre 150 milioni di euro a livello globale. E un secondo composto da compagini con 250 dipendenti e un fatturato netto di oltre 40 milioni di euro (a livello globale), operative in settori definiti ad alto impatto (tessile, agricolo o estrattivo).

L’Italia e diversi Stati Membri si sono opposti, in considerazione dell’eccessivo coinvolgimento di realtà aziendali, anche medio piccole. Così, nella versione finale della Direttiva gli oneri sono stati spostati sulle grandi imprese, ovvero quelle con più di 1.000 dipendenti e un fatturato complessivo di oltre 450 milioni di euro.

Per le grandi imprese risulta meno gravoso il monitoraggio sulle filiere, così come la tutela dei diritti umani o la mitigazione degli effetti climatici, in relazione alle attività economiche. Gli obblighi hanno un costo che, oggi, non tutte le imprese possono affrontare. Intanto, anche quelle extra UE dovranno allinearsi alla normativa, in taluni casi, mentre sono escluse le microimprese e le pmi – con alcune eccezioni. In Italia saranno coinvolte solo 737 imprese, rispetto alle iniziali 2.260.

La diligenza e l’aspetto sanzionatorio della Direttiva

La Direttiva fa riferimento al concetto di diligenza. Con tale termine chiede, alle imprese, di “identificare, porre fine, prevenire, mitigare e contabilizzare” tutti gli impatti negativi delle proprie attività, in relazione ai diritti umani e all’ambiente. Con riferimento al “locus”, si identificano tre aree: la stessa azienda, le filiali e lungo la catena del valore in cui ci si inserisce.

Un ruolo molto importante è quello ricoperto dagli amministratori, che dovranno contribuire agli obiettivi di sostenibilità e mitigazione. Dovranno impostare e supervisionare l’implementazione dei processi di due diligence, integrandola qualora assente. Dovranno agire nell’interesse della società, favorendo il rispetto dei diritti umani e del cambiamento climatico.

Con riferimento, invece, all’aspetto sanzionatorio, bisognerà attendere ancora. Trattandosi di una Direttiva, sarà necessario un atto di recepimento all’interno di ogni singolo Stato UE. E, in questo passaggio, il Paese potrà decidere di agire secondo scelte nazionali, con un quadro operato dalle Autorità di vigilanza locali. In tutti i casi, le pene pecuniarie prevedono un esborso non inferiore al 5% del fatturato netto mondiale dell’azienda (quindi non solo quello europeo).

Dunque, si parte. Le imprese europee avranno due anni per adeguarsi e già nel 2027 potremmo assistere ai primi allineamenti. Che, si spera, saranno più che positivi.

La Direttiva europea Corporate Sustainability Due Diligence è Legge - Ultima modifica: 2024-08-07T09:53:00+02:00 da Marianna Capasso