Cresce la consapevolezza del ruolo che un “Purpose” chiaro, ben comunicato e agito con coerenza può avere nell’attraversare meglio turbolenze, incertezze e cambiamenti continui. Avere un senso chiaro del proprio ruolo sul mercato e attuarlo nelle pratiche organizzative aiuta a mantenere la rotta sul medio-lungo periodo. Senza farsi inghiottire dalle necessità e dalle sfide solo di breve termine, ma mantenendo una visione più ampia. Com’è possibile?
Poiché è il motivo di fondo dell’esistenza di un’impresa, il suo significato (identità) è libero da vincoli temporali, da passaggi generazionali e da terremoti ai vertici. Il Purpose esprime infatti la ragion d’essere, lo scopo ultimo di una realtà aziendale. Il contributo e l’impatto che l'azienda vuole avere sulla società e l’economia nel suo complesso.
Così, per un’azienda che abbia chiaro il suo Purpose e che cerchi ogni giorno di dimostrarlo nelle azioni, nei comportamenti e nelle decisioni, sarà anche più facile perseguire la Vision. Quest'ultima ne esprime la direzione (dove sta andando), attraverso una Mission (quello che fa) e una Strategia (come lo fa). Questo è ciò che viene insegnato e raccomandato oggi nelle business school come efficace pratica manageriale e come testimoniano già diversi casi di eccellenza, da PepsicCo a Unilever.
La percezione del Purpose nelle imprese italiane
E in Italia? Come si rapportano i manager con lo scopo ultimo delle loro imprese? Che percezione hanno, quanto viene sfruttato per allineare valori, strategie e persone, nonostante le turbolenze che viviamo?
Per 7 su 10 la propria azienda ha un Purpose chiaro e stimolante, cioè ci sarebbe un nesso chiaro tra la sua organizzazione e il motivo per cui esiste. Inoltre, per il 69% lo scopo ultimo assumerà maggiore rilevanza nei prossimi 5 anni. Per 6 aziende su 10 il Purpose verrebbe già sfruttato a pieno come risorsa.
«Questa ricerca conferma un trend evidente in molti Paesi. Quando applicato, comunicato e condiviso internamente, il Purpose è oggi la principale leva di trasformazione delle imprese. La sola capace di lavorare a tutti i livelli, a cominciare dalla dimensione culturale», osserva Francesco Guidara, Managing Director di BCG BrightHouse.
BCG BrightHouse e Polimi Graduate School of management (GSoM) sono partiti dal raccogliere il punto di vista dei manager per avviare la riflessione in Italia, con la prima edizione dei “Purpose Days”.
Nell’occasione a Milano si sono riuniti i massimi esperti mondiali di Purpose. C'erano Ranjay Gulati dell’Harvard Business School, autore di “Deep Purpose: The hurt and Soul of High-Performance Companies”, e Alex Edmans della London Business School, autore di “Grow the Pie: how great companies deliver both Purpose and Profit”. Presenti anche primarie aziende italiane, come Dompé, Danieli, Ponti, Hera, Maire Tecnimont, che hanno portato la propria testimonianza per contribuire a diffondere la cultura del Purpose, con tutti i benefici che può portare a livello di organizzazione e business.
L’indagine è stata condotta tra luglio e settembre 2023 daBVA Doxa, insieme al team di ricerca di Polimi GSoM, su 500 prime linee tra manager (79%) e C-Level (21%) di medie e grandi aziende, rappresentative di industria, commercio e servizi.
Benefici del Purpose e impatto sulla capacità innovativa delle imprese
Secondo i manager delle medie e grandi aziende italiane, i benefici più tangibili a livello strategico sarebbero il raggiungimento degli obiettivi di business (62% per i manager e 74% per i Ceo); una migliore esperienza quotidiana dei dipendenti, più motivati e ingaggiati (58%), e la qualità della reputazione esterna (57%).
Dall’indagine è emersa anche una correlazione tra la capacità di trasformazione delle imprese e l’integrazione del Purpose nelle diverse aree di azione. In particolare, le imprese più innovative e trasformative sono anche quelle che lo integrano più efficacemente nella strategia (+51%), nella cultura aziendale (+78%), nelle evoluzioni organizzative (+73%), sia generazionali sia di leadership, e nella dimensione sociale (+56%), cioè nel rapporto con il territorio e la società.
«Ciò che la nostra ricerca afferma con decisione è che il Purpose oggi in Italia non è più percepito solo come un grande contributore sociale, ma come un potente strumento strategico. Una indicazione che pensiamo avrà delle conseguenze importanti per le imprese italiane e per la loro leadership», commenta Josip Kotlar, Associate Dean for Strategic Projects di Polimi GSoM.
Gli attuali freni a un uso più strategico del Purpose
Tuttavia, neanche uno su due (48%) i manager intervistati dichiarano di avere strumenti per misurare il Purpose, ossia per monitorarne la traduzione coerente nei comportamenti e nelle decisioni aziendali. E proprio la mancanza di strumenti di misurazione viene indicata come uno dei motivi di freno alla piena espressione del potenziale del Purpose per 4 manager su 10.
Al primo posto nelle difficoltà per un suo utilizzo strategico, ci sarebbe una scarsa e inefficace comunicazione del significato stesso dell’impresa all’interno e all’esterno (52%). Quindi lo scarso allineamento tra leadership e collaboratori per un manager su due, che per i Ceo arriva al 60%, e la già citata mancanza di strumenti di misurazione (42%). A seguire l’assenza di un piano di azione (33%) e la scarsa coerenza tra il Purpose stesso e le caratteristiche dell’azienda (26%).
«Accompagniamo le imprese nell’orientare la strategia al Purpose per metterlo in pratica. Spesso non è scritto, ma ogni organizzazione ha il suo, fa solo fatica a esternalizzarlo. Siamo all’inizio di un processo di diffusione e valorizzazione del Purpose come strumento decisionale», precisa Guidara.
Importante è anche la formazione continua, prevedendo anche interventi di mentoring e coaching da parte di chi ha più seniority per non disperdere l’identità aziendale.
«La chiave è l’autenticità. La sfida del Purpose è un grande impegno, ma vediamo molto interesse nelle nuove generazioni di manager che frequentano i nostri Master. Le nuove generazioni sono molto attente agli aspetti valoriali che diventano anche un elemento di attrazione e di employer branding», conclude Kotlar.