Se ne parlava già da un po’ ma la conferma è arrivata solo il 21 dicembre 2022. Nel Decreto Milleproroghe, il Consiglio dei Ministri ha inserito la modifica del termine per la consegna dei beni ordinati entro il 31 dicembre 2022 – qualora l’ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di un acconto non inferiore al 20% del corrispettivo pattuito.
La cosiddetta “coda temporale” non è più fissata al 30 giugno 2023 ma viene spostata al 31 dicembre 2023. In questo modo le imprese potranno comunque fruire dell’imposta per investimenti in beni materiali 4.0, usufruendo delle aliquote 2022, non perdendo i benefici a causa dei ritardi nelle consegne.
Facciamo allora un breve recap della misura agevolativa e vediamo perché è stato necessario modificare la normativa, relativamente alle tempistiche.
Il credito d’imposta per investimenti in beni 4.0
Il credito d’imposta per gli investimenti in beni 4.0 è un beneficio destinato alle imprese che acquistano beni tecnologicamente avanzati, oggetto in precedenza dell’iperammoramento. Possono procedere alla richiesta agevolativa le imprese che effettuano investimenti in beni strumentali 4.0, ovvero quei beni il cui funzionamento è controllato da sistemi computerizzati, che operano con una gestione da remoto tramite sensori e azionamenti. La definizione specifica è riportata nell’Allegato A della Legge 232/2016.
Il Piano Transizione 4.0 prevedeva, per il 2022, un credito pari al 40% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, al 20% per investimenti da 2,5 a 10 milioni e al 10% per investimenti fra 10 e 20 milioni. La Legge decretava, però, che l’agevolazione potesse essere richiesta a una condizione specifica: era stato infatti stabilito che i beni ordinati entro il 31 dicembre 2022 venissero consegnati entro il 30 giugno 2023.
Beni 4.0: le condizioni per il credito nel nuovo scenario
Solo rispettando il termine del 30 giugno 2023, per la consegna, le imprese acquirenti avrebbero potuto utilizzare le aliquote per il 2022 – che, al momento (al netto di possibili correttivi nella Legge di Bilancio) sono il doppio rispetto a quelle previste per il 2023 (si veda tabella).
Nel frattempo, però, lo scenario globale è cambiato. Sarebbe più corretto dire che è “estremamente mutato” rispetto al die in cui veniva stabilito lo scadenziario e la distinzione delle aliquote. Era il 2020 e, probabilmente, il legislatore pensava che la crisi pandemica fosse più che sufficiente, come fattore destabilizzante. Non immaginava il resto.
Nessuno si aspettava una nuova interruzione delle catene di fornitura, la mancanza di microchip e una crisi energetica. Era inimmaginabile un conflitto (quasi mondiale) con il coinvolgimento di Russia e Ucraina, due importanti produttori di materie prime. Alla luce di tutto ciò si è resa quindi necessaria una forte riorganizzazione, di seguito allo squilibrio dei flussi di commercio internazionale.
Gli investimenti, nonostante tutto…
Ai ritardi lamentati, gli stessi fornitori non hanno potuto che contrapporre oggettive difficoltà nell’evasione della domanda. E la colpa di questa situazione non è imputabile a nessuno, se non a “fattori esogeni”. Eppure, quella stessa colpa sarebbe indirettamente ricaduta sulle imprese italiane.
Queste, nonostante tutto, nel 2022 hanno continuato ad investire: non si sono fermate davanti alla maggiorazione dei costi energetici – che hanno eroso le proprie risorse finanziarie – e non si sono fatte spaventare dallo spettro del ritardo nella consegna, con la conseguente impossibilità di poter usufruire delle aliquote 2022.
Hanno osato e sono state premiate, perché – per usare un termine tanto inflazionato – hanno imparato a essere resilienti. Ma, ricordiamolo sempre, “non ci può essere resilienza se non si è fatti di pasta di qualità”. Riconosciamo allora alle nostre imprese il valore dei loro meriti.
QUI un ulteriore approfondimento sul Piano Transizione 4.0 di marzo 2022.