Le Terre Rare sono in effetti 17 elementi della tavola periodica: Cerio, Disprosio, Samario, Lantanio, Terbio, Praseodimio, Promezio, Erbio, Neodimio, Scandio, Ittrio, Olmio, Europio, Itterbio, Gadolinio, Tulio, Lutezio. La denominazione “terre rare” venne data quando questi metalli furono scoperti per la prima volta alla fine del settecento in ossidi minerali non comuni, quindi rari; in effetti gli elementi prima elencati non sono per nulla rari ma piuttosto molto “sparsi”, nel senso che è effettivamente raro un giacimento abbastanza grande da consentire l’attività estrattiva. La Cina, con il 97%, è il maggiore produttore di terre rare e la politica di riduzione delle esportazioni adotatta dal paese asiatico sta mettendo in difficoltà molti comparti industriali, dato che molteolici tecnologie si basano proprio sulle particolari proprietà di questi metalli: giusto per esemplificare, nella batteria di una Toyota Prius ci sono circa 10Kg di lantanio, e il magnete di una grande turbina eolica può contenere 260 chili o più di neodimio. A questo punto, anche per non dipendere completamente dalle decisioni commerciali della Cina, la comunità scientifica ha iniziato a studiare delle alternative sfruttando le nanotecnologie per ottenere nanoparticelle che potessero sostituire alcune terre rare e garantire una continuità produttiva di sistemi e parti basate sulle proprietà fisiche di questi metalli. La ricerca si sta concentrando soprattutto sulla realizzazione di magneti equivalenti a quelli ottenibili dalle terre rare, verso la produzione di quelle che sono denominate “magnetic core-shell nanoparticles”, partendo da complessi basati su un mix tra ferro e cobalto. Allo stato attuale della sperimentazione si sono ottenuti importanti risultati per quanto riguarda proprietà magnetiche e capacità di immagazzinamento di energia, e si prevede in tempi brevi la possibilità di produrre questi materiali nelle quantità necesarie alle applicazioni industriali.